A Palazzo Liguoro le suggestive “Visioni di San Giacomo” del maestro Ferdinando de Martino

Visioni di San GiacomoFrancescano appartenente ai Frati minori osservanti, San Giacomo della Marca rappresenta una delle più affascinanti figure della Storia della Chiesa.
Nato nel 1393 a Monteprandone, in provincia di Ascoli Piceno, dopo una vita attivissima che lo portò in varie parti d’Europa, trascorse gli ultimi anni a Napoli (della quale è oggi co-patrono).
Vi giunse nel 1473, inviato dal papa di allora Sisto IV, a seguito di una precisa richiesta del re Ferrante d’Aragona che, in tal modo, cercava di accattivarsi la simpatia del popolo partenopeo.
Arrivato già abbastanza anziano e malato, morì tre anni dopo, non prima di aver operato numerosi prodigi e aver guarito anche il re da una fastidiosa quanto sconosciuta malattia.
Nonostante la fama, a causa di alcune sue affermazioni, confutate dai domenicani e per le quali rischiò la scomunica, il processo di canonizzazione fu rallentato ad arte, al punto che dovette attendere addirittura il 1726 per essere proclamato santo.
Dal suo canto, invece, la gente comune non aspettò tutto questo tempo e si può dire, anzi, che San Giacomo fosse oggetto di grande venerazione già da vivo mentre, una volta morto, diversi furono i libri che raccolsero episodi attestanti la sua santità.
Fra questi va annoverato il poema del 1490, intitolato “Preambulum libri miraculorum, vite et mortis beati fratris Jacobi de Marchia” di Aurelio Simmaco de Jacobiti, umanista di Teramo, formato da venti canti in ottava rima, che porta in sé almeno un paio di motivi molto interessanti, legati all’uso della lingua volgare (una sorta di napoletano arcaico allo stato embrionale) ed al fatto che siamo agli albori della stampa, considerando che i primi volumi pubblicati in Italia risalgono al 1465.
Purtroppo l’originale, che venne donato dal Simmaco al convento napoletano di Santa Maria la Nova, affinché fosse posto presso la tomba del santo, attualmente si trova nella biblioteca dell’Università Saint Bonaventure (nello stato di New York), istituzione fondata nel 1858 da una comunità di frati minori francescani.
Come ci sia arrivata non è ancora completamente chiaro, anche se va ricordato che un buon 70% dei libri provenienti dai conventi italiani dei frati minori, e conservati oggi in America, sono lì giunti tramite canali tedeschi, in quanto la Germania fu la nazione dove si raccolsero un gran numero di beni artistici e librari appartenenti ai Francescani, quando l’ordine venne soppresso da Napoleone.
Questo preambolo era necessario per inquadrare il periodo ed i luoghi che fanno da cornice al recente lavoro del maestro Ferdinando de Martino, intitolato “Visioni di San Giacomo”, oratorio per voce recitante, quintetto da camera, coro, elettronica e campane tibetane, proposto recentemente a Palazzo Liguoro.
La composizione è stata concepita abbinando una parte letteraria ed una musicale.
La prima traeva spunto dal poema di Aurelio Simmaco, relativamente alle visioni del santo, e da missive che una suora (personaggio creato dal maestro de Martino) aveva spedito alla famiglia, dove descriveva il suo incontro con S. Giacomo.
Dal canto suo, la seconda oscillava fra le villanelle del Cinquecento, con le quali si dava voce al popolo, e la musica contemporanea, intrigante sottofondo alla descrizione delle visioni, contribuendo alla creazione di un’atmosfera particolarmente suggestiva, il tutto caratterizzato da un grande equilibrio.
Veniamo quindi agli splendidi protagonisti della serata, iniziando dall’ensemble vocale Comtessa de Dia, formato da Giovanna Izzo, Gabriella Romano, Viviana Formaro, Valentina Romano, Rossella Centofanti (soprani e contralti), Sergio Petrarca, Salvatore Buonomo, Riccardo Limongi (bassi), che si è dimostrata compagine affiatata, ricca di ottime individualità.
Molto compatta anche la sezione musicale, costituita da Irene Vanacore (violino), Domenico Di Gioia e Annalisa Freda (flauti), Franco Perreca (clarinetto) e Guido Mandaglio (fagotto), mentre la parte elettronica era affidata a un grande esperto del campo come Sergio Naddei, il tutto sotto l’attenta direzione del maestro Ferdinando de Martino.
Va ancora ricordata la brava e versatile attrice Rosalba di Girolamo, che ha ricoperto in modo impeccabile il ruolo di voce recitante, fornendo un validissimo contributo alla riuscita di una composizione, sicuramente meritevole di essere riproposta, mantenendo il medesimo organico e utilizzando un luogo altrettanto raccolto, come la sala di Palazzo Liguoro che lo ha recentemente ospitato.
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