Il Settecento musicale a Napoli fu sicuramente un periodo irripetibile, figlio di una situazione che affondava le radici nei secoli precedenti, maturata grazie ad una serie di eventi concomitanti e favorevoli quali, ad esempio, la presenza di quattro conservatori e di ensemble, come la Reale Cappella, che attiravano docenti, compositori e musicisti di grande levatura, non solo locali, ma anche provenienti da altre parti d’Italia e dall’estero.
La copiosissima produzione di questo periodo è ancora oggi nota solo in minima parte, così come autori all’epoca tenuti in grande considerazione, attualmente risultano relegati in un inspiegabile ed immeritato oblio.
Si tratta, quindi, di uno scenario in continuo cambiamento, che si arricchisce progressivamente, grazie a iniziative legate quasi sempre alla buona volontà di figure che abbinano ricerca ed interpretazione, muovendosi con serietà e quasi in punta di piedi.
In tale contesto si inquadra anche il cd della casa genovese Dynamic, intitolato “Si suona, a Napoli!”, rivolto a cinque concerti per flauto traverso di altrettanti autori attivi nel Settecento (tre in “prima” mondiale) frutto di studi lunghi ed approfonditi, portati avanti dalla flautista Renata Cataldi.
Per l’occasione l’artista si è avvalsa della preziosa collaborazione dell’ensemble “Le Musiche da Camera”, fondato nel 1993 e specializzato nell’esecuzione di brani e autori in auge nel Settecento, caduti in seguito nel dimenticatoio.
Il disco si apre con il “Concerto a cinque, flauto traverso, violino primo, violino secondo, alto viola col basso” in sol maggiore del pugliese Nicola Bonifacio Logroscino (1698-1764), alunno di Francesco Durante al Conservatorio di Santa Maria di Loreto, che si guadagnò l’appellativo di “dio dell’opera buffa”.
Il successivo “Concerto per flauto traversiero, due violini e basso” in sol maggiore (1711-1778) appartiene invece a Davide Perez, noto come operista ed autore di musica sacra, anch’egli allievo del Conservatorio di Santa Maria di Loreto, dove studiò con Francesco Mancini, Giovanni Veneziano e Francesco Barbella.
La sua carriera si svolse principalmente fra Napoli e Palermo fino al 1752, quando il re del Portogallo lo chiamò a Lisbona per ricoprire il ruolo di maestro di cappella e maestro di musica della famiglia reale, terminando lì il resto della sua vita.
Praticamente sconosciuto Aniello Santangelo, autore del “Concerto a quattro, traverso solo, violino primo, violino secondo con basso” in re maggiore.
Di lui si hanno pochissime notizie, dalle quali si ricava che era attivo a Napoli fra il 1737 ed il 1771, suonò il violino nell’orchestra del Teatro di San Carlo e insegnò violino al Conservatorio della Pietà de’ Turchini.
Più o meno la medesima coltre di nebbia avvolge la figura di Giuseppe Sellitto (1700-1777), il cui “Concerto a quattro, flauto traverso, violino primo, violino secondo e basso” in sol maggiore presenta diverse particolarità, fra le quali un movimento conclusivo in forma di danza, durante il quale il flauto dialoga con il primo violino.
Il cd si chiude con il “Concerto a quattro, flauto traverso, violino primo, violino secondo, cembalo” in sol maggiore di Antonio Palella (1692-1761), allievo del Conservatorio di Sant’Onofrio a Capuana, che fu secondo clavicembalista del Teatro di San Carlo.
E’ ricordato soprattutto per aver adattato alle esigenze del pubblico partenopeo opere di altri autori, quali Hasse, e per alcune innovazioni legate all’opera buffa, come la sostituzione della lingua napoletana con quella italiana, che permise ai suoi lavori di essere compresi anche al di fuori degli ambiti regionali.
Nel complesso tutti i brani registrati testimoniano come il Settecento napoletano sia stato un periodo di grande fermento anche in ambito esclusivamente strumentale, spesso grazie agli stessi autori che diedero lustro all’opera.
Riguardo a questo argomento risulta molto significativo il titolo scelto per il cd, risalente ad un episodio, riportato dal musicologo britannico Charles Burney nel suo “Viaggio musicale in Italia”, relativo alla presenza di Corelli nella città partenopea.
Giunto da Roma (presumibilmente nel 1708) con due fedeli collaboratori, a seguito delle insistenze da parte del re e molto scettico sull’effettivo valore dell’orchestra della Reale Cappella, dopo averla diretta, il musicista nativo di Fusignano dovette immediatamente ricredersi, per cui sembra che abbia pronunciato la frase “Si suona, a Napoli!”.
Per la cronaca pare che, autorevole come direttore, Corelli avesse all’epoca perso molto smalto come violinista, per cui la sua permanenza fu costellata da problemi avuti sia con il re, sia con Alessandro Scarlatti, maestro della Reale Cappella, al punto che pensò bene di interrompere repentinamente il soggiorno napoletano e tornare a Roma.
Veniamo ora agli interpreti dell’incisione, cominciando da Renata Cataldi che, come accennato in precedenza, rappresenta la vera anima del progetto, essendosi occupata delle ricerche, delle trascrizioni dei brani, delle cadenze e, naturalmente, dell’esecuzione delle parti solistiche.
Limitandoci a quest’ultimo ruolo, va sottolineata la sua estrema bravura interpretativa, evidenziata da un perfetto affiatamento con l’ensemble e da un suono particolarmente morbido e nitido, qualità che si apprezzano maggiormente quando si pensa che il traversiere è uno strumento molto meno agevole da utilizzare rispetto al flauto moderno.
Dal canto suo, l’ensemble “Le Musiche da Camera”, ottimamente diretto da Egidio Mastrominico (violino da concerto) e formato da Gianluca Pirro e Giovanni Rota (primi violini), Vincenzo Bianco, che si alterna con Roberto Roggia, e Federico Valerio (secondi violini), Fernando Ciaramella (viola), Leonardo Massa (violoncello), Ottavio Gaudiano (contrabbasso), Giuseppe Petrella (tiorba e chitarra barocca), Debora Capitanio (clavicembalo), conferma di essere una compagine di altissimo livello, che possiede una eccezionale dimestichezza con la musica barocca, consolidata da anni di esperienza, innumerevoli concerti tenuti in sedi prestigiose e diverse incisioni di riferimento.
In conclusione un disco di ottima fattura, sia per quanto riguarda il lato interpretativo, sia per i brani scelti in modo oculato, che denotano la sensibilità ed il buon gusto di Renata Cataldi, capace di attingere al repertorio strumentale del Settecento napoletano, ancor meno conosciuto di quello operistico, tenendosi lontana da una consuetudine, purtroppo sempre più diffusa negli ultimi tempi, secondo la quale qualsiasi composizione risalente a tale periodo debba essere considerata un assoluto capolavoro.
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