I capitoli 16 e 21 del libro della Genesi sono incentrati sugli eventi legati ad Abramo e sua moglie Sara.
La coppia, giunta ormai in età avanzata, ha la certezza di non poter avere figli, anche se le promesse divine al proposito risultano diverse, per cui Sara consiglia ad Abramo, per proseguire la discendenza, di sposare la schiava Agar (pratica all’epoca ammessa e regolamentata da due articoli del codice di Hammurabi).
Dall’unione fra Abramo e Agar nasce Ismaele e, ben presto, Sara si accorge che la sua idea non è stata proprio delle migliori, in quanto la schiava si trova ora in una posizione privilegiata e inizia ad accampare legittime pretese relative alla futura eredità.
Nel frattempo, adempiendosi il volere di Dio, dà anche lei alla luce un figlio, per cui si riappropria del primato familiare e, preoccupata per un’eventuale divisione dei beni nel caso Abramo morisse, impone al marito di cacciare Agar ed Ismaele.
I due vengono quindi allontanati da Abramo, molto dispiaciuto ma nel contempo rassicurato da Dio sul loro futuro, che li rifornisce con una piccola scorta di viveri e un otre d’acqua.
Agar ed Ismaele si perdono però nel deserto, e sarebbero destinati a morire di sete, se non intervenisse provvidenzialmente un angelo, che li guida verso una fonte alla quale potranno abbeverarsi e riuscire quindi a sopravvivere.
Nel complesso una vicenda straordinariamente attuale, sia per quanto riguarda una dinamica affine alla cosiddetta “maternità surrogata”, sia perché, secondo la tradizione, Ismaele è considerato il capostipite del popolo Arabo, mentre da Isacco, naturalmente, discende il popolo Ebreo, con tutti i conseguenti forti attriti che ancora oggi caratterizzano i rapporti fra le due etnie.
La vicenda fu utilizzata dal letterato Giuseppe Domenico de Totis, componente di alcune accademie romane, per scrivere il libretto dell’oratorio a cinque voci “Agar et Ismaele esiliati”, con il quale Alessandro Scarlatti nel 1683 diede il suo primo contributo a tale genere.
La data coincide con la partenza di Scarlatti da Roma, alla volta di Napoli, dove giunse al seguito del viceré Gaspar de Haro y Guzmán, marchese del Carpio, per cui non si sa se, prima di conoscere rifacimenti e cambi di titolo in tempi successivi, l’oratorio venne effettivamente eseguito quell’anno nella città capitolina, anche perché non esistono copie stampate, ma un unico manoscritto conservato nella Biblioteca Nazionale di Vienna.
L’oratorio è stato proposto a chiusura della prima stagione in streaming dell’Associazione Alessandro Scarlatti, affidandolo ad un quintetto di solisti, formato dai soprani Valeria La Grotta (Sara), Giulia Lepore (Ismaele) e Francesco Divito (Angelo), dal contralto Aurelio Schiavoni (Agar) e dal basso Roberto Gaudino (Abramo), accompagnati dalla Cappella Neapolitana, a sua volta costituita dai violini primi Alessandro Ciccolini (primo violino), Patrizio Focardi e Massimo Percivaldi, dai violini secondi Marco Piantoni, Nunzia Sorrentino e Giuseppe Guida, da Rosario Di Meglio (viola), Jorge Alberto Guerrero (violoncello), Giorgio Sanvito (contrabbasso), Luigi Trivisano (clavicembalo), Angelo Trancone (organo) e Pierluigi Ciapparelli (tiorba), il tutto sotto la direzione di Antonio Florio.
Il risultato finale è di altissimo livello, grazie ad un ensemble che dal 1987 (e fino al 2016), con il nome di “Cappella della Pietà de’ Turchini”, ha portato i fasti della musica barocca in giro per il mondo, e a cantanti che hanno fornito un’ottima prova, calandosi perfettamente nei rispettivi ruoli.
Così l’Abramo di Roberto Gaudino, visibilmente costretto a scelte abbastanza contrarie alla sua indole, cedeva nei confronti di una determinatissima e impietosa Sara, ben disegnata da Valeria La Grotta, mentre Agar (Aurelio Schiavoni) e Ismaele (Giulia Lepore), assoluti protagonisti di tutta la seconda parte, erano accompagnati dalla simpatia del librettista nei loro confronti, sostenuta soprattutto nel presentare la schiava come una mamma premurosa, assolutamente disinteressata alla eventuale condivisione del patrimonio.
Ultima, ma non meno importante, la presenza di Francesco Divito, angelica sotto tutti i punti di vista.
Ricordiamo, infine, il breve ed esauriente intervento che ha preceduto il concerto, curato dal musicologo e docente di fama internazionale Dinko Fabris, stretto collaboratore del maestro Florio e consulente per le ricerche musicologiche della Cappella Neapolitana, fin dalla sua fondazione, nonché direttore del Master di musica antica del Conservatorio di Napoli, voluto da Florio e strettamente legato anche allo ScarlattiLab barocco, iniziativa dell’Associazione Alessandro Scarlatti, giunta al decimo anno, che si avvale della direzione artistica di entrambi.
In conclusione un finale degno di una rassegna che ci ha accompagnato in questi primi due mesi del 2021, purtroppo obbligatoriamente in streaming, con l’augurio di ritornare quanto prima ad ascoltare la musica nei luoghi preposti e non esclusivamente da casa.
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