Dopo la pausa natalizia, la stagione in abbonamento della Associazione Alessandro Scarlatti è ripresa sotto il segno del grande pianismo internazionale.
Il teatro Sannazaro ha ospitato, infatti, Alexander Lonquich, artista tedesco da anni trapiantato in Italia, che ha aperto il suo recital con il Rondò in sol maggiore op. 51, n. 2 di Ludwig van Beethoven (1770 – 1827), completato nel 1796 e dedicato alla Contessa Henriette Lichnowsky.
A seguire i Sechs Klavierstücke op. 118 di Johannes Brahms (1833 – 1897), alternati al Pezzo per pianoforte n. 2 (Sehr Langsam), da Drei Klavierstücke op. 11 di Arnold Schönberg (1874-1951), proposto nella versione originale ed in quella “da concerto” di Ferruccio Busoni.
Nel primo caso ci troviamo di fronte a brani scritti nel 1892 dall’autore tedesco, spesso intrisi di delicata malinconia e nostalgia, che costituiscono una sorta di mesto saluto al mondo, anche se il musicista non immaginava che la sua parabola compositiva non si era conclusa e, di lì a poco, avrebbe trovato ancora le energie necessarie per dare alla luce altri autentici capolavori cameristici.
Per quanto riguarda Schönberg, i Drei Klavierstücke coincidono con il momento di svolta verso l’atonalità e, presentati in pubblico nel 1910, ricevettero un quasi unanime dissenso da pubblico, critica e colleghi.
Uno dei pochi ad apprezzare la novità fu Ferruccio Busoni, che realizzò una trascrizione “da concerto” del n. 2, riportandolo in un alveo meno innovativo, che non incontrò il consenso di Schönberg.
Dopo un breve intervallo, la seconda parte è stata interamente rivolta alla Sonata per pianoforte n. 29 in si bemolle maggiore op. 106 “Hammerklavier” di Beethoven.
Pubblicata da Artaria nel 1819, dopo una gestazione di un paio di anni, con dedica all’Arciduca Rodolfo d’Asburgo, si guadagnò un soprannome abbastanza strano, visto che il termine “Hammerklavier” era quello con cui veniva identificato in generale il pianoforte.
Opera monumentale, di ardua esecuzione e di difficilissimo approccio interpretativo, appartiene all’ultimo periodo della produzione del gigante di Bonn, caratterizzato da molti brani che all’epoca non incontrarono i favori né del pubblico, né dei critici (ma ciò risulta abbastanza comprensibile) e lui stesso, sottoponendolo all’editore viennese, sembra abbia pronunciato la frase “Eccovi una sonata che darà del filo da torcere ai pianisti, quando la suoneranno fra cinquant’anni”.
Nel complesso un programma notevolmente corposo, al quale Lonquich ha fornito la sua grande maestria, raggiungendo l’apice con una straordinaria “Hammerklavier”, disturbata dai problemi legati ai malanni di stagione di alcuni spettatori e da un’illuminazione del teatro piuttosto ondivaga, che spesso passava dai toni soffusi alla piena luce.
Alla fine è stato ripagato da lunghi e scroscianti applausi, da parte di un pubblico entusiasta, ed ha voluto chiudere il concerto con uno splendido bis chopiniano, consistente nell’Impromptu n. 2 in fa diesis maggiore op. 36.
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