Nuovo appuntamento, nella Sala del Toro Farnese del Museo Nazionale, con il Festival del Barocco Napoletano, che ha ospitato “Gli Otiosi”, ensemble formato da Alessandra Castellano (traversiere), Rebeca Ferri (violoncello) e Andrea Damiani (arciliuto).
Il programma, diviso a metà fra autori di scuola napoletana e autori attivi al Nord, si è aperto con la Sonata XII in sol maggiore per flauto e basso continuo di Francesco Mancini (1672-1737), posta a chiusura di una raccolta pubblicata a Londra nel 1724.
Allievo di Provenzale al Conservatorio della Pietà de’ Turchini, Mancini trascorse quasi tutta la sua carriera a Napoli, dove ricoprì numerosi incarichi di grande prestigio, raggiunti spesso a scapito di autori più importanti di lui.
Il contrasto maggiore lo ebbe con Alessandro Scarlatti, da lui sostituito nel 1707 alla direzione della Real Cappella, approfittando del soggiorno a Roma del grande compositore e del contemporaneo passaggio della città dagli Spagnoli agli Austriaci, accolto da Mancini con grande entusiasmo.
Inutile dire che Scarlatti, una volta tornato a Napoli, si riprese la posizione che gli spettava, relegando Mancini al ruolo di vice, ma quest’ultimo non si perse d’animo, riuscendo a conservare lo stipendio acquisito come direttore e ottenendo in seguito assicurazioni che, alla morte del noto collega, lui lo avrebbe sostituito, cosa che puntualmente avvenne nel 1725.
Nel frattempo era stato eletto direttore del conservatorio napoletano di S. Maria di Loreto (1720) ed ebbe ancora il tempo, nel 1735, di ingraziarsi i Borboni quando questi ultimi presero il posto degli Austriaci.
Per quanto riguarda Francesco Paolo Scipriani o Supriano, si sa che nacque a Conversano (Ba) nel 1678, e studiò al Conservatorio della Pietà de’ Turchini.
Virtuoso del violoncello, entrò nella Capilla Reale di Barcellona, chiamato da Carlo di Asburgo, ma tornò poi a Napoli dove morì nel 1753.
Una delle sue opere principali, giunta ai nostri giorni è la raccolta “Principij da imparare à suonare il violoncello e con 12 Toccate à solo”, presente nella biblioteca del Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella, recente oggetto di una revisione pubblicata nel 2014 dal maestro Raffaele Sorrentino.
La finestra rivolta ai compositori settentrionali iniziava con il Duetto I in re maggiore del compositore forlivese Giovanni Battista Cirri (1724-1808), organista e violoncellista, la cui carriera cominciò nella cattedrale della città natale per poi proseguire a Bologna, dove studiò con Giovanni Battista Martini e fu membro dell’ “Accademia Filarmonica”.
Si spostò quindi a Parigi, poi a Londra ma, nel 1780, tornò a Forlì per dare una mano al fratello, maestro di cappella della Cattedrale, che era in cattive condizioni di salute, prendendo il suo posto nel 1787, non prima di essere stato a Napoli, a partire dal 1782, dove ricoprì il ruolo di primo violoncello al Teatro dei Fiorentini.
La “Sonata per arciliuto del Sig. NN napoletano”, ritrovata in un conservatorio del Nord precedeva la conclusione, affidata alla Sonata I, op. 2 in do maggiore per flauto e basso continuo del bergamasco Pietro Locatelli (1695-1764).
Violinista prodigio, si spostò nel 1711 a Roma per perfezionarsi con Corelli o con Valentini dove godette del favore del cardinale Pietro Ottoboni e del maggiordomo del Papa, monsignor Camillo Cybo, dedicatario dei XII Concerti Grossi op. I.
Persi gli appoggi romani, dal 1723 girò per varie corti e si esibì come virtuoso in diverse parti d’Europa, fino ad approdare ad Amsterdam nel 1729.
Lì collaborò con Michel-Charles Le Cène, uno dei massimi editori dell’epoca, e visse nell’agiatezza fino alla fine dei suoi giorni, grazie ai proventi ricavati da concerti e lezioni private tenute ad esponenti dell’alta borghesia, ai quali dedicò alcune sue raccolte.
Confrontandosi con questa panoramica molto varia e oltremodo interessante, l’ensemble “Gli Otiosi”, che mutua il nome dall’omonima Accademia culturale sorta a Napoli nel Seicento, ha messo in evidenza la notevole bravura dei singoli ed il loro ottimo affiatamento, portando alla ribalta autori per la maggior parte sconosciuti e brani raramente eseguiti.
Pubblico molto numeroso ed entusiasta, che ha lungamente applaudito gli splendidi protagonisti, accomiatatisi con un bis consistente nell’adagio dalla Sonata in sol maggiore di Hasse, sassone che soggiornò a Napoli per diversi anni, a partire dal 1722.
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