I “Concerti di Autunno” ospitano un chitarrista di sicuro avvenire

Foto Max Cerrito

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Ai “Concerti di Autunno”, rassegna organizzata dalla Comunità Evangelica Luterana di Napoli e affidata alla direzione artistica di Luciana Renzetti, prosegue la proposta di giovani talenti.
Recentemente è stata la volta del chitarrista romano Flavio Nati, confrontatosi con un repertorio abbastanza inconsueto.
L’apertura era rivolta al Preludio, Fuga e Allegro BWV 998 di Johann Sebastian Bach (1685-1750), scritto intorno al 1740, la cui particolarità consisteva nel fatto che, molto probabilmente, in origine fu destinato al “liutocembalo”, una sorta di liuto a tastiera, abbastanza diffuso nel periodo barocco, ma oggi completamente scomparso.
Con il secondo brano in programma, siamo passati al contemporaneo Konstantin Vassiliev, nato in Siberia nel 1970, la cui Berg-Rhapsody risale al 2006 e adatta la Sonata per pianoforte, op. 1 di Alban Berg alle sonorità della chitarra.
La successiva Air Varié n. 1, op. 21 di Giulio Regondi (1822-1872), pubblicata nel 1864, prendeva spunto da “Santa Lucia”, canzone classica napoletana scritta da Teodoro Cottrau (1849), per sviluppare una serie di variazioni virtuosistiche.
Regondi, nato a Ginevra da madre tedesca e padre milanese, costituisce uno dei chitarristi maggiormente rappresentativi del periodo romantico.
La sua biografia presenta ancora oggi molti lati oscuri, soprattutto per quanto riguarda l’infanzia, che lo vide esibirsi con successo in varie parti d’Europa, bambino prodigio suo malgrado, costretto a stressanti tournée dal padre (che sembra lo abbia poi abbandonato, fuggendo con i proventi guadagnati sfruttando il figlio).
Proseguì poi la carriera a Londra, dove trascorse buona parte della sua breve vita, approfondendo il suo interesse anche per un altro strumento, la concertina, inventato in Inghilterra nel 1829 e antenato del bandoneón.
Dopo un breve intervallo, la seconda parte è stata interamente dedicata alla Sonata para guitarra di Antonio José (1902-1936), nato e vissuto a Burgos.
Lavoro molto corposo, datato 1933, risulta l’unico brano per chitarra del compositore castigliano, la cui promettente carriera fu stroncata dalla Guerra Civile, in quanto venne fucilato dai Falangisti per motivi mai chiariti.
Alla morte fece seguito un oblio totale, che si protrasse fino agli anni ’80, quando la sua figura cominciò ad essere riportata alla ribalta grazie all’interessamento di alcuni musicologi, anch’essi castigliani.
La Sonata è stata però pubblicata per la prima volta nel 1990 dall’italiano Angelo Gilardino, su mandato degli eredi che custodiscono la maggior parte dei manoscritti di Antonio José, molti dei quali sono ancora inediti.
Dal punto di vista stilistico il pezzo risente, secondo quanto afferma il noto chitarrista, dell’influenza di de Falla e di Ravel, pur se si avvertono soluzioni originali, che possono solo far immaginare quali sarebbero stati gli sviluppi futuri dell’autore spagnolo se la sua vita non fosse stata brutalmente stroncata.
Uno sguardo, ora, al giovanissimo interprete, che ha proposto brani dove spesso la tecnica era superiore a tutto il resto, mostrandosi a suo agio ed evidenziando una versatilità tale da poter spaziare da Bach ad autori contemporanei quali Vassiliev.
A ciò vanno aggiunte le brevi ed esaurienti notizie che l’artista ha fornito al pubblico, riguardanti i brani e i loro autori, indice di una ricerca di approfondimento, che va al di là della mera interpretazione del pezzo.
Al termine del recital gli spettatori si sono prodotti in un lungo e calorosissimo applauso più che meritato, al quale il chitarrista ha risposto con un bis legato alla tradizione otocentesca, una Romanza tratta dal “Barden-Klänge” (“Il suono dei Bardi”) op. 13, raccolta costituita da trenta brani, che si deve a Johann Kaspar Mertz, raffinato finale di uno splendido concerto.
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