Joseph Rescigno, direttore d’altri tempi

Foto Richard Brodzeller

Nato a New York, con ascendenti italiani da parte di padre, Joseph Rescigno è attualmente uno dei direttori d’orchestra più prestigiosi e versatili, padrone di un immenso repertorio, in grado di spaziare dalla musica sinfonica a quella lirica senza disdegnare la cameristica.
Scorrendo il suo curriculum, ci imbattiamo in figure leggendarie, a partire dallo zio Nicola Rescigno, scomparso nel 2008 (fra i fondatori dell’Opera di Chicago e dell’Opera di Dallas, noto anche per aver diretto più volte la Callas in allestimenti memorabili), con il quale ha collaborato a lungo e che ha avuto un’influenza formativa determinante per la sua carriera.
Ma altri nomi spiccano in modo deciso quali Herbert von Karajan, Erich Leinsdorf, Roberto Benaglio (maestro del coro del Teatro alla Scala), Laszlo Halasz (fondatore dell’Opera di New York City), Bruno Maderna, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Moresco, Arturo Benedetti Michelangeli e il compositore statunitense Nicolas Flagello (suo docente di composizione alla Manhattan School of Music, a sua volta perfezionatosi all’Accademia di S. Cecilia con Ildebrando Pizzetti).
Durante la sua lunga carriera Joseph Rescigno ha diretto, in tutto il mondo, una cinquantina di compagnie liriche e di orchestre, prendendo parte sia a stagioni operistiche che sinfoniche.
Attualmente, pur se la sua attività principale è quella di Artistic Advisor and Principal Conductor della Florentine Opera Company di Milwaukee (Wisconsin), incarico che ricopre dal 1981, collabora a numerose iniziative, una delle quali ha luogo in Italia.
Da alcuni anni, infatti, fa parte dello staff del festival “La Musica Lirica” che si tiene a Novafeltria (Rimini).
Lo abbiamo incontrato a Roma, proveniente dalla Romagna e in procinto di ritornare a New York.

Maestro Rescigno, lei è reduce da un mese molto intenso, trascorso a Novafeltria, dove ha partecipato all’edizione 2012 del Festival Internazionale “La Musica Lirica”.
Ci può dire in cosa consiste questa manifestazione?

Si tratta di un corso di perfezionamento, che dura circa un mese, rivolto a giovani cantanti, selezionati in precedenza, soprattutto negli USA e Canada, suddivisi in differenti sezioni, in base al loro curriculum.
Io appartengo allo staff che si occupa degli artisti che stanno per iniziare la loro carriera o hanno già qualche esperienza alle spalle.
I ragazzi per quattro settimane seguono lezioni individuali di tecnica vocale e anche di italiano (per migliorare la loro dizione) con maestri di fama internazionale, e nella quinta ed ultima partecipano a due o più rappresentazioni di un’opera.
Il mio compito è quello di prepararli e, naturalmente, di dirigere l’opera alla testa dell’Orchestra Città di Ravenna.
Quest’anno abbiamo proposto sei rappresentazioni de “La Bohème” di Puccini, tenutesi a Novafeltria, San Marino, Cesena, Alfonsine e Pesaro e quattro de “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini, a Novafeltria, Fusignano e Pesaro.
Un lavoro abbastanza faticoso, considerando che a volte mi è capitato di dover dividere la giornata fra le prove di un’opera e quelle dell’altra, il tutto reso ancor più problematico dal caldo eccezionale, ma alla fine sono molto soddisfatto dei risultati ottenuti.

Sempre rimanendo in tema, so che lei è un sostenitore delle iniziative dedicate ai giovani

Sì, sono convinto che, anche chi proviene da un buon conservatorio ed ha avuto la fortuna di avere dei bravi docenti, non possa fare a meno di accumulare quanto più esperienza possibile “sul campo” e rassegne come queste ritengo siano molto utili per la sua formazione.
D’altronde anche a Milwaukee, nell’ambito delle attività della Florentine Opera, ho insistito per far partire un progetto rivolto alle giovani promesse della lirica.

A questo proposito come vede la situazione attuale?

In effetti cantanti bravi e preparati ce ne sono, però è sempre più difficile, rispetto ad una volta, trovare il talento e, ancor più complicato, salvaguardarlo.
Uno dei problemi di oggi è che le carriere dei cantanti sono spesso brevissime.
Ciò è indubbiamente dovuto al fatto che tutti vogliono fare tutto, con il risultato di mettere a repentaglio la loro voce.
Nella mia lunga attività alla Florentine Opera in qualità di Artistic Advisor and Principal Conductor, che dura da più di trenta anni, ho sempre cercato di abbinare l’opera ai cantanti che, secondo me, erano più adatti al ruolo.
Purtroppo molte altre compagnie non si regolano in questa maniera e spesso puntano sull’artista del momento, costruendogli intorno un cast non sempre all’altezza, talora imponendogli anche un’opera che magari non ha mai interpretato, ed i risultati finali sono sotto gli occhi di tutti.

E riguardo al settore lirico, in generale, qual è la sua opinione?

Indubbiamente il momento di crisi economica che stiamo vivendo ha coinvolto anche il settore lirico, ma quello che mi preoccupa maggiormente è la forte diminuzione di spettatori.
Ciò, a mio avviso, è dovuto principalmente a due fattori, il primo legato al notevole aumento dei prezzi dei biglietti da parte dei teatri più importanti (sto parlando degli USA, ma mi pare che la stessa cosa sia avvenuta in Italia).
Il secondo riguarda la mancanza di ricambio generazionale.
Il pubblico della lirica non è mai stato giovane, ma comincia ad avere un’età media eccessivamente elevata e, d’altronde, non si può pretendere che, di punto in bianco, il trentenne o il quarantenne, che non è mai entrato in un teatro e non ha mai ascoltato un’opera lirica, diventi improvvisamente un appassionato.
Bisognerebbe, e questo discorso vale per la musica classica in generale, proporre programmi scolastici in grado di educare e coinvolgere le persone fin dalla tenera età.
Le faccio un esempio, quest’anno, durante uno dei nostri allestimenti del “Barbiere di Siviglia”, sono stato colpito da un bambino di cinque anni che ha seguito tutta l’opera con un interesse straordinario, quasi rapito.
Potrebbe essere un futuro appassionato ma, una volta terminata questa particolare esperienza, come farà ad alimentare la sua curiosità e la sua eventuale passione in mancanza di mezzi a disposizione?

Non pensa che anche alcune regie di opere tradizionali, uscite un po’ fuori dagli schemi, e la proposizione di opere contemporanee, abbiano contribuito ad allontanare gli spettatori?

Per quanto concerne la prima parte della domanda, credo che non si possa generalizzare.
Fra i registi vi sono elementi validi e meno validi e l’intelligenza di chi programma una stagione dovrebbe essere quella di saper ben distinguere le due categorie.
Inoltre è indispensabile chiedersi quale sarà la risposta del pubblico che, non dimentichiamolo, resta il nostro principale interlocutore.
Sempre rimanendo nell’ambito della mia esperienza personale, sono rimasto positivamente colpito dall’inglese John La Bouchardière, regista dell’ “Idomeneo” di Mozart, che ho diretto a conclusione della stagione 2011-2012 della Florentine Opera.
Relativamente alle opere di recente composizione, è indubbio che, fino a qualche decennio fa, abbiamo assistito ad un proliferare di lavori di grande complessità musicale, difficili da eseguire e, soprattutto, poco fruibili dal pubblico degli appassionati.
In questi ultimi tempi siamo invece caduti nell’eccesso opposto, in quanto, proprio per recuperare qualche spettatore, vi è la tendenza a concepire lavori di una semplicità che talora rasenta il banale.
Naturalmente, anche qui vi sono numerose e lodevoli eccezioni, e penso che, da questo punto di vista, i compositori statunitensi stiano percorrendo la strada giusta.
Per ciò che mi riguarda da vicino, la Florentine Opera ha registrato un doppio cd della Naxos rivolto a “Elmer Gantry”, composto nel 2007 da Robert Aldridge, incisione che si è aggiudicata quest’anno due Grammy, uno dei quali “per la migliore composizione contemporanea”.
E poi, nel 2010, ho diretto, in prima mondiale, Río de Sangre (oggi disponibile anche in un doppio cd della Albany Records), che si avvale delle musiche di Don Davis, noto per aver composto le colonne sonore della trilogia di Matrix.

Ci può dire qualcosa in più su Río de Sangre?

Certamente, si tratta di un progetto del quale sono molto orgoglioso per diversi motivi.
Innanzitutto è stata la prima volta, dall’anno della sua fondazione (1933), che la Florentine Opera ha commissionato un lavoro nuovo, fra l’altro anche molto complesso, ulteriore testimonianza del livello raggiunto, sia dalla compagine corale, sia dall’Orchestra Sinfonica di Milwaukee che l’accompagna.
In secondo luogo l’opera è basata su una trama originale ed un libretto scritto appositamente da Kate Gale (poetessa ed editore indipendente) e tradotto in spagnolo da Alicia Partnoy (argentina rifugiata negli USA, dopo essere stata vittima della dittatura militare), perché la vicenda si svolge in un paese sudamericano.
La vicenda ruota, infatti, intorno a Christian Delacruz, eletto da poco presidente, che cercherà di affrontare i problemi della nazione con idealismo e buoni propositi, ma si accorgerà ben presto quali innumerevoli insidie nasconda il governo di un paese, finendo per soccombere, vittima degli stessi ingranaggi che gli avevano permesso di conquistare il potere.
Infine, va sottolineato l’apporto di Don Davis che, con la sua musica, ha saputo fornire la giusta atmosfera ad ogni scena, da quelle più violente a quelle più intime e, a dispetto dei diversi stili utilizzati (si va, infatti, da passaggi pucciniani, wagneriani e mozartiani al jazz), è stato in grado di ottenere una visione complessiva molto unitaria, dando una decisa fisionomia ai cinque personaggi principali (due soprani, un baritono e due tenori), chiamati inoltre a sostenere parti di estrema difficoltà.

Da quanto finora detto, è indubbio che la sua preferenza vada all’opera lirica, ma sappiamo che Lei ha diretto con successo anche numerose composizioni sinfoniche alla testa di grandi orchestre.
A cosa si deve questa propensione, oltre al fatto di aver avuto uno zio come Nicola Rescigno che, sicuramente, ha avuto una grande influenza sulla sua formazione?

In effetti, in particolare nel periodo 1995-2000, quando ero direttore artistico dell’Orchestre Métropolitain di Montreal in Canada, ho eseguito molta musica sinfonica e inciso alcuni dischi con la casa discografica Analekta, rivolti a brani di Brahms, Beethoven e Mendelssohn, che hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti.
Penso, però, che l’opera lirica, anche se più faticosa, dia soddisfazioni maggiori.
In questo caso il compito del direttore risulta più ampio in quanto, oltre a confrontarsi con la partitura, deve affrontare e risolvere i problemi legati all’abbinamento fra musica e parole, immedesimarsi nelle vicende che costituiscono la trama, per poi trasferire tutto questo bagaglio di informazioni all’orchestra ed ai cantanti.
In una parola, non si limita più al ruolo di direttore d’orchestra, ma assume quello, molto più impegnativo ed affascinante di “maestro concertatore” (non a caso il sito ufficiale di Joseph Rescigno ha come indirizzo www.concertatore.com).

Nella sua lunga carriera ha diretto opere tratte dal repertorio italiano, francese, inglese, americano e tedesco, ma non si è mai confrontato con autori cechi o russi.
Per quale motivo?

La ragione è molto semplice, come dicevo un attimo fa, parlando della figura del maestro concertatore.
Quando mi confronto con un’opera, devo essere in grado di comprenderla fino in fondo e, non conoscendo le lingue slave, il mio approccio al proposito risulterebbe insoddisfacente.

Il maestro Rescigno in una delle prime apparizioni in pubblico

Facciamo un passo indietro e parliamo della sua giovinezza e dei rapporti con l’Italia

Mio nonno paterno, un trombettista, era nato a Napoli e ha conseguito il suo diploma al Conservatorio di S. Pietro a Majella.
Si è poi trasferito a New York, dove è diventato famoso e, per più di trenta anni, ha fatto parte dell’Orchestra Filarmonica di New York e di quella del Metropolitan Opera, prima di essere costretto al ritiro per problemi di udito.
E’ stato lui il mio primo insegnante di solfeggio (non avevo ancora due anni), mentre da mia madre, cantante lirica, ho ricevuto le prime lezioni di pianoforte.
Poi, naturalmente, c’era mio zio Nicola, una figura celeberrima nel campo della lirica, che ha sicuramente avuto grandissima influenza sulla mia formazione e che mi ha voluto spesso come collaboratore.
Grazie a lui ho avuto modo di conoscere i principali teatri italiani, nel periodo in cui risiedevo a Roma, dove ho studiato all’Università Gregoriana e all’Accademia di S. Cecilia.
Dal punto di vista della bellezza e dell’acustica, i più belli erano La Fenice di Venezia (il maestro si riferisce naturalmente al periodo precedente l’incendio che ha distrutto il teatro nel 1996) ed il San Carlo di Napoli.
Ricordo con molto piacere il mio soggiorno romano anche perché, dopo alcuni mesi trascorsi in una piccola stanza, ebbi la possibilità di risiedere in un grande appartamento che affacciava su Piazza Navona, di proprietà di un amico facoltoso di mio zio, sempre in giro per il mondo, che doveva assentarsi per molto tempo e quindi aveva piacere che qualcuno si occupasse della sua casa.
Ogni volta che torno a Roma, cerco sempre di fare una capatina nella piazza, pur se, devo dire con rammarico, mi sembra si sia persa l’atmosfera magica di un tempo.
Ad ogni modo Roma è una città veramente bellissima, probabilmente unica in ambito artistico, in quanto i monumenti testimoniano una ininterrotta continuità temporale, che va dai resti della civiltà romana fino ai nostri giorni.
Altri luoghi che mi sono rimasti impressi, dal punto di vista del paesaggio, sono la costiera sorrentina e quella amalfitana e, naturalmente il Golfo di Napoli.
Dalla città partenopea manco da tantissimo e vorrei tornarci per cancellare un ricordo non proprio gradevole, in quanto l’ultima volta che ci sono passato, nel 1966, sono capitato nel bel mezzo di uno sciopero dei netturbini.
Comunque, ritornando all’ambito musicale, ritengo Napoli una fra le città italiane che ha maggiormente contribuito ai fasti della lirica e l’ho ribadito in un mio recente intervento tenuto lo scorso novembre alla Casa Italiana Zerilli-Marinò dell’Università di New York.

Siamo ormai quasi al termine di questa lunga ed interessante chiacchierata ed è quindi d’obbligo chiederLe qualcosa sui suoi prossimi impegni

A ottobre sarò a Omaha (Nebraska) per dirigere “La Traviata” di Verdi e poi inaugurerò la stagione della Florentine Opera con “Carmen” di Bizet.
Contemporaneamente sto completando, con la preziosa collaborazione di mia moglie Jeanne, il mio primo libro, che si intitolerà The View From The Pit: Where Theater Meets Music.
Sarà rivolto ai principali compositori di opere liriche e corredato da una serie di esempi riportati su cd, utili per rendere comprensibile a tutti i vari argomenti trattati.

Un’ultima domanda, c’è ancora un sogno che vorrebbe realizzare?

Mi piacerebbe dirigere Wagner, là dove l’autore ebbe l’ispirazione per scrivere il Parsifal, ovvero nello splendido scenario di Villa Rufolo a Ravello

L’intervista si chiude qui e ringraziamo il maestro Rescigno per averci dedicato un po’ del suo prezioso tempo, dimostrando grande cortesia e disponibilità.
Il nostro incontro prosegue con un fuori programma, la visita alla vicina Galleria Doria Pamphilj, dove sono conservati quadri di alcuni grandi pittori, da Filippo Lippi a Caravaggio, passando per Raffaello, Memling, Bruegel il Vecchio, Tiziano, Annibale Carracci, ed il Maestro si aggira con grande dimestichezza fra le opere del passato, mostrando la sua passione per l’arte, quasi pari a quella per la musica.
Decisamente un direttore d’altri tempi.

Questa voce è stata pubblicata in Le interviste di Critica Classica e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.