Dino Rubino prosegue nel tour di presentazione del suo primo album in trio, Zenzi, omaggio a Miriam Makeba

Foto Roberto Cifarelli

Dino Rubino prosegue nel suo tour di presentazione dell’album Zenzi (Tuk Music), album tributo a Miriam Makeba con cui il trombettista e pianista siciliano si presenta al pubblico in veste di band leader.
Dopo le date primaverili alla Tenda di Modena (Crossroads), alla Salumeria della Musica di Milano, al Teatro Villa dei Leoni di Mira (Veneto Jazz), alla Cantina Bentivoglio di Bologna, e alla Casa del Jazz di Roma, la formazione composta da Stefano Bagnoli alla batteria, Paolino dalla Porta al contrabbasso, e da Rubino in veste di autore, arrangiatore e strumentista, al pianoforte e alla tromba approderà il 12 giugno al Biografilm Festival di Bologna, che per la prima volta apre alla musica, e all’Artusi Jazz Festival di Forlimpopoli, il 22 giugno.
Il 14 giugno, inoltre, Dino Rubino, componente dell’Alvin Queen 5et (con Max Ionata, Dado Moroni e Rosario Bonaccorso) suonerà al Percfest (Laigueglia, SV), in memoria di Naco Bonaccorso.
Dal 25 giugno, infine, Dino Rubino componente del quartetto del sassofonista Rino Cirinnà si trasferirà negli USA per partecipare al Festival di Rochester.
Personalità emergente della nuova scena del jazz europeo, Dino Rubino, 31 anni, presenta tratti geniali del polistrumentista che non potevano sfuggire né ai suoi colleghi, né tanto meno a Paolo Fresu, suo grande sostenitore assieme ad Enrico Rava, e produttore dell’album Zenzi.
Intitolato a Zenzile (in lingua xhosa “non hai che da incolpare te stesso”) Miriam Makeba, l’album vuole essere il personale omaggio di Rubino alla cantante e attivista sudafricana, di cui valorizza il patrimonio melodico e ritmico, in un ritratto a più facce in chiave jazz: la Makeba cantante di world music, jazzista, cantastorie, cantante folk.
“L’attività politica di Miriam Makeba, la sua morte a Castelvolturno, il legame tra Sicilia e Africa, terre che hanno ben più in comune della sola prossimità fisica, sono tutti aspetti che mi legano personalmente alla vicenda di questa straordinaria artista, racconta Rubino, e che desideravo rappresentare, a mio modo, in un album. Il progetto musicale si è sviluppato con molta naturalezza, quasi istintivamente. In particolare, la lettura dell’autobiografia della Makeba, oltre all’ascolto dei suoi brani, ha avuto il potere di evocare – quasi da sé – gli arrangiamenti e le nuove composizioni che poi ho registrato. Non è stato un lavoro “di testa”: più cose andavo scoprendo di Miriam Makeba, più la sentivo mia.”
Dal punto di vista stilistico, la variazione ritmica e uno spiccato senso del colore caratterizzano il trio, insieme alla sobrietà di tratto.
La ritmica di alta statura che affianca Rubino in questo progetto è in grado di valorizzare al meglio la sua duplice personalità: Stefano Bagnoli, più legato alla tradizione del mainstream di tipo moderno, e Paolino dalla Porta, che rappresenta la linea jazzistica più aperta ed europea.
Come nella sua migliore accezione, il trio diventa organismo paritario, nel quale le idee si sviluppano in maniera circolare tra i tre strumenti, favorendo la dimensione improvvisativa e l’interplay.

Nicoletta Tassan Solet
Massalia Comunicazione
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Note
Zenzi trova nutrimento tanto nelle melodie che hanno reso famosa la Makeba cantante di world, tanto nei ritmi e nel repertorio del folklore africano (“Mi trovo decisamente a mio agio con i ritmi africani, racconta Rubino, e la cosa bella del ritmo africano è la varietà che ritrovo nel jazz. E che nel mio jazz è ciò che più mi piace”).
L’album si apre sulle note di Malaika (in swahili “angelo”), canto della tradizione folkloristica keniota.
Seguono Where can I go, sul tema della canzone yiddish direttamente uscita dai campi di concentramento degli anni Quaranta Vi Ahin Zol Ich Geyn? che la Makeba contribuì a fare conoscere, e gli originali Mama Afrika (Rubino-Dalla Porta-Bagnoli), Song for Miriam (Rubino), From Sicily (Rubino), To Afrika (Rubino), Ninna nanna (Rubino), Goodbye Zenzi (Rubino).
Tra questi si annida l’improvvisazione sul brano manifesto della Makeba, sebbene il suo significato sia stato lungamente travisato, Pata Pata, con cui la cantante nel 1957 non solo metteva a nudo imbarazzi e ipocrisie della società perbenista americana, ma additava a una tradizione musicale, e alla popolazione che di questa era portatrice, la cui condizione il mondo non poteva più continuare ad ignorare.
Rubino chiude quindi il suo tributo con il brano Sangoma, con cui allude non solo alla figura del padre della Makeba – che era appunto un Sangoma, figura di sciamano presente in alcune culture sudafricane – ma anche all’omonimo disco della Makeba, di soli brani tradizionali africani, in controtendenza rispetto alle altre pubblicazioni di quegli anni.
Dagli arrangiamenti vocali e percussivi caratteristici di quest’album in particolare, Rubino è partito per ricordare, in Mama Africa specialmente, la Makeba più profonda, la cantastorie di un popolo dalla tradizione antichissima.
Il brano From Sicily, che il seguente To Africa completa nel quadro di una suite, “è ispirato alla tradizione folkloristica della mia terra, una tradizione che collego al mio presente attraverso lo swing, racconta Rubino. Con tradizione siciliana, mi riferisco al sound tipico delle bande siciliane, all’atmosfera e alle modalità di condivisione delle esibizioni di questi complessi, nei contesti dei funerali siciliani o delle cerimonie istituzionali, un mondo che io conosco per esperienza diretta. Questa suite, in un modo diverso rispetto a Mama Africa, può essere considerata a sua volta un mio omaggio alla Miriam Makeba cantatrice folk.”

Dino Rubino si racconta
“I primi pianisti ad avermi influenzato sono stati Monk e Jarrett, sebbene ultimamente non riesca più ad ascoltare né l’uno né l’altro. Con il piano ora ho tante cose nuove da dire, oggi, quindi non voglio ascoltare pianisti che mi possano distrarre. La mia cultura di riferimento è quella del pianismo occidentale, europeo, e il mio modo di intendere il jazz non può prescindere dalla conoscenza tanto della musica classica, quanto della musica etnica. A dire il vero, non mi sento un pianista jazz, mi sento un pianista tout court, a trecentosessanta gradi. Un improvvisatore. Nel periodo della mia formazione, di avvicinamento alla musica classica, studiavo molto Bach, di cui mi piaceva il rigore logico, matematico, nello sviluppare le idee. Bach è un architetto della musica, e a me, l’ipotesi di poter costruire improvvisazioni geometriche affascinava. Poi ho iniziato, tutto all’opposto, ad interessarmi al suono, e ad autori come Debussy, per esempio. Mi sono innamorato di questa musica che galleggia nell’aria, nello spazio e soprattutto nel tempo, un modo di fare musica che sento sempre più affine. Suonare Debussy, negli anni della mia formazione classica, mi è sempre risultato facile e, tutt’oggi, quando improvviso, so quanto Debussy abbia influito sul mio modo di suonare. Penso che la musica sia una missione. Quando mi preparo a suonare, mi sento – oltre che fortunato – in un certo modo portatore di un messaggio, forte, che vorrei condividere: un messaggio di positività, che vorrei rivolgere ai ragazzi che si sforzano di perseguire i loro sogni, che si ostinano a fare ciò in cui credono. Miriam Makeba era portatrice di un messaggio importante. Io, nel mio piccolo, sento quanto meno di voler lanciare un messaggio di fiducia in se stessi, di libertà, di creativa, un invito ad avere il coraggio di portare avanti un’idea. Che è quello che ho cercato di fare con questo disco.”

Dino Rubino

Foto Roberto Cifarelli

Il percorso di Dino Rubino è segnato dal complesso processo di affermazione di una personalità musicale dirompente. La sua formazione e la sua carriera seguono una duplice inclinazione – quella di pianista, che si manifesta dalla prima infanzia, e quella di trombettista jazz a partire dalla sua prima adolescenza – che oggi si manifesta attraverso una personalità musicale in cui i due profili si incontrano, si intrecciano facendosi reciprocamente eco, in una sorta di convivenza che Rubino tende a mantenere “il più possibile pacifica”.
Pianista di formazione classica e jazz, Rubino cresce tra influenze musicali che spaziano da Bach a Debussy, da cui mutua gli impianti architettonici, armonici e sensoriali, fino a Monk e a Jarrett e al post-bop, cui unisce lo spiccato senso melodico di sapore mediterraneo che caratterizza oggi la sua vena compositiva.
Vincitore in veste di trombettista del premio Massimo Urbani come miglior talento nazionale emergente nel 1998, è Enrico Rava a chiamarlo per sostituirlo in diversi concerti in Sicilia e a diffondere il suo nome quale esponente di spicco della nuova generazione di trombettisti europei.
Oltre a vantare una lunga serie di prestigiose collaborazioni con musicisti italiani e stranieri, Dino dal 2008 suona e incide regolarmente assieme a Francesco Cafiso, che lo coinvolge in tutte le sue formazioni, tanto in veste di trombettista quanto di pianista.
Nel corso degli ultimi anni si è esibito all’interno di moltissime prestigiose manifestazioni italiane ed estere quali Canarias Jazz, Umbria Jazz, Santiago Jazz EU, Roma Jazz’s Cool, Marciac Jazz Festival, Shangai Italian Expo, Loulè Jazz Festival, Festival MiTo, Umbria Jazz Balkanic Windows, Skopie Jazz Festival, Stagione Musicale della Sapienza di Roma, Auditorium Parco della Musica.
Nel 2012 esce il primo album del Dino Rubino Trio (con Paolino Dalla Porta al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria) Zenzi, per l’etichetta Tuk Records di Paolo Fresu, un tributo del pianista, trombettista e compositore siciliano alla cantante e attivista sudafricana, di cui valorizza il patrimonio melodico e ritmico in un ritratto a più facce in chiave jazz: la Makeba cantante di world music, jazzista, cantastorie, cantante folk.
Dal 2012, Dino Rubino è docente di tromba jazz al Conservatorio di Catania.

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