Al Festival del Barocco Napoletano il minimoEnsemble propone una splendida panoramica legata a tre secoli di musica partenopea

Foto Max Cerrito

Il Festival del Barocco Napoletano ha recentemente ospitato, nella Sala del Toro Farnese del Museo Archeologico Nazionale, il minimoEnsemble, duo di fama internazionale formato dal contralto Daniela del Monaco e dal chitarrista Antonio Grande, che ha recentemente pubblicato un cd dal titolo “Lo Guarracino e altre storie…”.
Il programma proposto metteva innanzitutto in evidenza la figura dello spagnolo Gaspar Sanz (1640-1710), chitarrista, organista e compositore, che studiò teologia, filosofia e musica alla prestigiosa Università di Salamanca.
Venne poi in Italia a perfezionarsi, probabilmente nel periodo 1699-1703, con una lunga permanenza a Napoli, dove studiò con Cristofaro Caresana, organista della Cappella Reale e fu a sua volta organista del viceré.
Ritornato in Spagna, divenne docente di chitarra di Don Giovanni d’Austria, figlio illegittimo di Filippo IV e dell’attrice Maria Calderón, e a lui dedicò i tre volumi intitolati rispettivamente Instrucción de música sobre la guitarra española, Libro segundo, de cifras sobre la guitarra española e Libro tercero de música de cifras sobre la guitarra española, stampati a Saragozza fra il 1674 ed il 1675, veri e propri capisaldi della letteratura chitarristica di ogni tempo.
Da tali raccolte, che comprendono in totale una novantina di brani, abbiamo ascoltato Preludio por la cruz, Folías, La Cavallería de Nápoles con dos clarines, e Fuga n.1.
Alternati a questi pezzi per chitarra sola, trovavano posto alcune canzoni della tradizione partenopea, di anonimi o di dubbia attribuzione.
Alle prime appartenevano “La serpe a Carolina”, invettiva contro Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando I di Borbone, motivo portato alla ribalta da Roberto De Simone, che trasse ispirazione dalla ‎‎“Ngiuriata de la Coccovaja de Puorto all’ex Regina de Napole” (1799), abbinato poi all’aria di anonimo “Bello ni’ si m’amave n’ at’ anno”, e “Lo Guarracino”, celeberrima tarantella del Settecento, che descriveva, mediante un testo in vernacolo, oggi di difficile comprensione, la storia d’amore fra la castagnola nera (il guarracino del titolo) e la sardina, violentemente ostacolata dal tonnetto, suo precedente “fidanzato”, conclusa con una gigantesca zuffa, alla quale prendevano parte circa ottanta specie, fra pesci, molluschi e crostacei.
Riguardo ai pezzi variamente attribuiti, si partiva da “Michelemmà”, tarantella del Seicento, dal testo enigmatico, per molto temo creduta opera del pittore Salvator Rosa (tesi sostenuta anche da Salvatore Di Giacomo, che fece letteralmente carte false, ovvero produsse di sua mano un documento comprovante la paternità della canzone).
Era poi la volta di “Felicella”, pubblicata a suo nome da Vincenzo De Meglio, nella raccolta Eco di Napoli (1877), vero e proprio plagio dell’aria “Nel cor più non mi sento”, da “La Molinara” di Paisiello, che esordì al Teatro dei Fiorentini nel 1788.
Infine toccava a “Fenesta ca lucive”, edito da Girard nel 1842, probabilmente ispirato ad una ballata siciliana del Cinquecento, che narrava la storia della baronessa di Carini, sorpresa in flagrante adulterio ed uccisa dal padre e dal marito.
Come autore della musica fu indicato, al fianco di Guglielmo Cottrau, Vincenzo Bellini, ma molto probabilmente vi era la mano di Luigi Ricci, noto soprattutto per la tarantella posta alla fine dell’opera “La Festa di Piedigrotta”.
Il concerto si chiudeva con alcune canzoni comprese fra l’Ottocento ed il Novecento, iniziando da “Me voglio fa’ ‘na casa” (canzone marenara), scritta da Gaetano Donizetti nel 1835, e pubblicata nel 1837 nella raccolta Soirées d’automne à l’Infrascata.
In successione erano poi eseguite “Passione” (1934) di Ernesto Tagliaferri e Nicola Valente, su testi di Libero Bovio, ‘A vucchella, la più famosa fra le canzoni create da due autori non napoletani, ovvero gli abruzzesi Gabriele D’Annunzio e Francesco Paolo Tosti, pubblicata da Ricordi nel 1907, ed infine “Canzone appassiunata” (1922) di E. A. Mario, al secolo Giovanni Ermete Gaeta, la cui fama è legata alla “Leggenda del Piave”.
Riguardo agli interpreti, il minimoEnsemble, costituito da Daniela del Monaco e Antonio Grande, è da sempre indiscutibile garanzia di qualità, frutto anche di un enorme lavoro di ricerca che precede qualsiasi esecuzione (peculiarità piuttosto rara, purtroppo, in ambito musicale), con eccezionali risultati finali in termini di bravura e raffinatezza.
Anche il numerosissimo pubblico che affollava la Sala del Toro Farnese lo ha pienamente percepito, con un’autentica ovazione all’indirizzo dei protagonisti, che si sono accomiatati proponendo, come bis, “Suspiranno” (1909), di Ernesto Murolo ed Evemero Nardella, riportata in auge e adattata ai ritmi degli anni ’70 da Peppino di Capri.

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