Francesco Divito rappresenta una figura praticamente unica nel panorama musicale in quanto, non avendo subito la muta vocale, è in grado di restituire, al suo originario splendore, il repertorio barocco concepito per i cantanti castrati.
Recentemente l’artista ha inciso un cd dal titolo “A voce sola”, pubblicato dalla Kicco Music, dove si confronta con arie, proposte in ordine cronologico, che abbracciano una produzione di circa tre secoli.
L’inizio è rivolto a Claudio Monteverdi (1567-1643) ed alla sua celebre “Sì dolce è ’l tormento”, contenuta nella raccolta di Carlo Milanuzzi “Quarto Scherzo delle ariose vaghezze” (Venezia, 1624).
La successiva “Se l’aura spira tutta vezzosa” di Girolamo Frescobaldi (1583-1643), è tratta dal “Primo libro di Arie musicali”, pubblicato nel 1630 a Firenze, quando il musicista lavorava alla corte della famiglia Medici.
Terzo brano in programma “When I am laid in earth”, più conosciuto come “lamento di Didone”, tratto da Dido and Aeneas, datato 1689 e assoluto capolavoro di Henry Purcell (1659-1695).
Tocca quindi ad un’ampia pagina dedicata a Georg Friedrich Händel (1685-1759), che si apre con “Disserratevi, oh porte d’Averno”, dall’oratorio “La Resurrezione”, lavoro giovanile, risalente al 1708, il cui esordio avvenne a Roma nel palazzo del marchese Ruspoli, all’epoca mecenate del grande autore tedesco.
Si prosegue con la famosissima “Lascia ch’io pianga”, aria di Almirena da “Rinaldo” (1711), prima opera di Händel allestita a Londra, su libretto italiano, con un cast nel quale spiccava il castrato Nicola Grimaldi detto “Nicolini” nei panni del personaggio principale.
Molto nota anche “Ombra mai fu”, da “Serse”, opera che esordì al King’s Theatre nel 1738, riportando un tremendo fiasco, giustificato da vari fattori, fra cui quello di inserire spunti comici in una vicenda fortemente drammatica, iniziativa poco gradita sia da parte del pubblico che della critica.
In questa panoramica non poteva mancare il leggendario “Messiah”, rappresentato da “Rejoice greatly, O daughter of Zion” e “I know that I Redeemer liveth”.
Forse non tutti sanno che l’oratorio esordì con grande successo nel 1742 a Dublino e che il successivo allestimento londinese fu invece accolto tiepidamente ma ebbe la fortuna di ottenere il gradimento del sovrano di allora Giorgio II.
La stagione oratoriale di Händel proseguì con altri lavori ai quali arrisero alterne fortune.
In tale ambito si collocano “Let the bright Seraphim”, da “Samson” e “Oh, had I Jubal’s lyre”, da “Joshua”, che ebbero entrambi la “prima” al Covent Garden di Londra, rispettivamente nel 1743 e nel 1748.
Due i brani scelti nell’ambito della produzione mozartiana, “Voi che sapete”, aria di Cherubino, da “Le nozze di Figaro” (1786) e “Parto, parto, ma tu ben mio”, aria di Sesto (da “La clemenza di Tito”), personaggio che nell’esordio dell’opera, avvenuto a Praga nel 1791, fu ricoperto dal castrato Domenico Bedini.
Il salto nell’Ottocento ci porta a Gioachino Rossini (1792-1868) con il Crucifixus della Petite Messe solennelle, composizione quest’ultima molto particolare, già dal titolo, vista la coesistenza fra due aggettivi antitetici come “Petite”, riferito principalmente ad un limitato organico (in origine dodici cantanti e tre strumentisti) e “Solennelle”, relativo all’importanza del testo sacro.
Dedicato alla contessa Louise Pillet-Will, moglie di un facoltoso banchiere, conobbe nel 1864 la sua prima proposizione in forma quasi privata, nella cappella di famiglia della nobile.
Ultimi due brani del disco, Pie Jesu di Gabriel Fauré (1845-1924) e Vocalise di Sergej Rachmaninov (1873-1943).
Il primo appartiene al Requiem in re minore, op. 48, scritto nel 1888 “per puro diletto” (così affermò il musicista francese, ma scorrendo la biografia ci si rende conto che lo concepì in un periodo contrassegnato da diversi lutti) e che, a differenza dei più celebrati Requiem come quelli di Mozart e Verdi, non contiene il Dies Irae e si caratterizza per un’atmosfera particolarmente luminosa.
Dal canto suo Vocalise, posto al termine dei Quattordici canti per voce e pianoforte, op. 34 (1912) e privo di testo (in quanto si tratta appunto di un vocalizzo), venne dedicato dall’autore russo al soprano Antonina Nezhdanova.
Il suo lirismo ha finito per porre in secondo piano il resto della raccolta, al punto che è diventato un brano a sé stante, oggetto di numerose trascrizioni, affidate agli organici più svariati.
Veniamo ora all’ottimo protagonista del cd, il soprano Francesco Divito, che in questo viaggio compreso fra il Seicento di Monteverdi ed il Novecento di Rachmaninov, ha modo di evidenziare, attraverso una voce veramente unica, tutta la sua grande versatilità.
Non c’è dubbio che, fermo restando un livello costante molto elevato, i picchi sono raggiunti dai brani che, in un lasso di tempo molto breve, riescono a trasmettere all’ascoltatore emozioni legate ad una particolare situazione, come il monteverdiano “Sì dolce è ’l tormento” o a inquadrare determinati personaggi quali Didone (il cui “lamento” precede il suicidio) e Almirena, prigioniera della maga Armida, il cui struggente “Lascia ch’io pianga” sottolinea il rifiuto alle profferte amorose del re Argante.
Di grande spessore risulta anche il numeroso organico che accompagna Divito, a partire da Regina Albanez (tiorba) e Maaike Boekolt (viola da gamba), componenti dell’ensemble La Primavera, impegnate nei due brani iniziali.
La parte del leone spetta però alla London Musical Arts Orchestra, diretta da John Landor, alla quale sono affidati i pezzi di Purcell, Händel e Fauré, mentre la Bulgarian National Radio Symphony Orchestra, anch’essa sotto la bacchetta di John Landor, interpreta i due brani operistici mozartiani.
L’elenco degli esecutori si completa con il pianista Salvatore Gaglio e con l’Orchestra Gli Archi della Camerata Dogale, diretti da Sandra Sofia Perulli, che si confrontano rispettivamente con Rossini e Rachmaninov.
In conclusione un cd di grande interesse, che riporta in auge intriganti vocalità sempre più rare da incontrare nella loro originaria essenza.
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