Il 25 novembre dello scorso anno, non appena si è diffusa a Napoli la notizia della tragica morte di Diego Armando Maradona, ha avuto inizio un pellegrinaggio spontaneo ed ininterrotto di migliaia di persone verso la curva B dello stadio San Paolo.
Ognuno ha voluto lasciare un ricordo che lo legava ad un periodo irripetibile della storia della squadra calcistica partenopea, dove “El pibe de Oro” (e anche la “Mano de Dios”) ha militato dal 1984 al 1991, contribuendo in modo determinante alla conquista del primo scudetto (e poi del secondo, della Coppa Uefa, di una Coppa Italia e di una Supercoppa).
Proprio da questo episodio è partito il noto critico musicale Stefano Valanzuolo, per costruire il concerto-spettacolo “Sine Diez, musica per piedi innamorati”, che ha fatto il suo esordio assoluto nell’ambito della rassegna “Musica in Villa”, organizzata dall’Associazione “Maggio della Musica”.
Affidato alla voce recitante di Paolo Cresta, e al duo formato da Nino Conte (fisarmonica) ed Enrico Valanzuolo (tromba), il racconto si snodava attraverso alcuni episodi salienti della carriera napoletana di Maradona, iniziando dalla presentazione ai tifosi, in un caldo pomeriggio estivo del 1984, con lo stadio gremito da quasi 80.000 spettatori, che avevano pagato un biglietto simbolico di mille lire solo per vederlo palleggiare per una manciata di secondi ed ascoltare il suo saluto.
Il 1985 è l’anno della punizione “impossibile” che mise al tappeto la Juventus, mentre il 1986 segnò la vittoria dell’Argentina ai campionati del Mondo, che passò anche attraverso la doppietta di Diego contro l’Inghilterra, con un gol di mano ed uno di piede (definito anche Gol del Siglo).
L’indimenticabile 1987 con la vittoria del primo scudetto del Napoli, il 1988 con il lampo nel pantano di Marassi contro la Sampdoria e, ancora, nel 1989, il balletto sulle note di Life is life degli Opus, durante il riscaldamento all’Olympiastadion di Monaco, prima della semifinale di ritorno con il Bayern in Coppa Uefa.
Infine l’inquadratura su Maradona, durante la finale dei mondiali del 1990 allo stadio Olimpico di Roma, colto mentre imprecava contro la frangia numerosa di tifosi italiani che stavano fischiando l’inno argentino.
Ogni episodio aveva la sua musica di sottofondo, che talora si alternava alla parte recitata, con motivi in gran parte legati alla vita di Diego o alla tradizione argentina.
Si cominciava con “La Mano de Dios”, che Rodrigo Bueno cantò nel 2000 in onore di Maradona, durante una trasmissione televisiva registrata a Cuba, dove all’epoca il campione era andato per disintossicarsi (ma la paternità del motivo sarebbe del cognato di Bueno, Alejandro Romero).
Anche El choclo, musicato da Angel Villoldo nel 1903, al quale Enrique Santos Discepolo aggiunse nel 1947 una propria lirica, ha avuto una sua collocazione nell’ambito della tifoseria napoletana, in una versione ribattezzata “Tango di Maradona”, con un nuovo testo in lingua partenopea curato da Bruno Lanza, al quale si deve anche il profetico e celeberrimo (almeno dalle nostre parti) Maradona è meglio ‘e Pelè, su musica di Emilio Campassi.
Il panorama argentino si completava con Merceditas di Ramón Sixto Ríos, risalente agli anni ’40, e Chiquilín de Bachín (1969), frutto della collaborazione fra Astor Piazzolla ed il poeta Horacio Ferrer, mentre gli altri brani eseguiti consistevano in Song for Maradona, significativo contributo di Enrico Valanzuolo che, data la giovane età, non ha potuto vivere l’epopea calcistica (ma sicuramente il padre deve avergliela più volte raccontata), Children’s Play Song di Bill Evans, Felicità di Lucio Dalla, e la già citata Life is life degli Opus.
Veniamo ora ai protagonisti di una serata che ha attirato un pubblico numeroso, dove c’erano anche molti giovani, che, pur avendo conosciuto le gesta di Maradona solo tramite i racconti di genitori e zii, saranno stati in grado comunque di apprezzare il concerto-spettacolo.
Ma, obiettivamente, i veri fruitori erano quelli di una certa età (compreso il sottoscritto), che hanno rivissuto un periodo sportivamente unico e, al termine dell’evento, sono usciti dai giardini di Villa Pignatelli con gli occhi umidi.
Merito anche di un testo, quello di Stefano Valanzuolo che, all’epica roboante e retorica, ancora oggi tanto di moda (e che nel rievocare Maradona sarebbe stata accettabilissima), ha preferito una descrizione intensa ed incisiva, testimonianza di chi quegli episodi li aveva vissuti in prima persona, seguendo il Napoli un po’ ovunque.
A ciò va aggiunta la strepitosa performance di Paolo Cresta che, grazie al fatto di essere un grande attore ma un moderato tifoso, ha trasmesso le emozioni contenute nello scritto senza lasciarsi travolgere dai ricordi.
Bravissimo anche il duo formato da Nino Conte alla fisarmonica ed Enrico Valanzuolo alla tromba, un connubio insolito, che si è dimostrato subito vincente e molto adatto, con le sue sonorità, a fornire la giusta atmosfera.
In conclusione un concerto-spettacolo dove il noto critico Stefano Valanzuolo, abbandonando per una volta le vicende legate ai suoi prediletti compositori, ha voluto dare voce in prima persona ad una passione, altrettanto se non più forte di quella musicale, attraverso un’operazione densa di suggestioni, che evidenziando nel modo migliore l’epopea del più forte calciatore di tutti i tempi, volgeva nel contempo uno sguardo nostalgico dell’autore verso i propri anni giovanili.
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