Il primo appuntamento della XXI edizione della rassegna “Organi Storici della Campania”, organizzata dall’Associazione Alessandro Scarlatti, ha ospitato, nella Chiesa dell’Immacolata al Vomero, il napoletano Angelo Castaldo, organista titolare della Basilica di Santa Chiara e docente del Conservatorio di Cagliari.
Il prestigioso musicista ha aperto la serata con il Praeludium in sol minore BuxWV 149 di Dietrich Buxtehude (1637–1707), autore danese di nascita ma tedesco di adozione, grande virtuoso della tastiera e fra i maggiori compositori di musica organistica di tutti i tempi.
Sembra ormai accertato che lo stesso Bach, quando aveva una ventina d’anni, per conoscerlo (e per carpirne i segreti del mestiere), affrontò un viaggio di oltre 400 chilometri, distanza che separava Arnstadt, dove lavorava, da Lubecca, città nella quale Buxtehude ricopriva il ruolo di organista titolare della Marienkirche.
Nessuno sa se i due si incontrarono, ma è certo che questa sorta di pellegrinaggio ebbe una decisa influenza sul prosieguo dell’attività bachiana.
E proprio alla produzione di Johann Sebastian Bach (1685-1750) apparteneva il successivo Preludio corale O Mensch, bewein’ dein’ Sünde gross BWV 622 (O uomo, piangi i tuoi grandi peccati), tratto dall’Orgelbüchlein, raccolta costituita da composizioni destinate in gran parte ad accompagnare i riti delle principali festività dell’anno liturgico Protestante, che Bach scrisse presumibilmente tra il 1707 ed il 1718, durante la sua permanenza alla corte di Weimar.
Si giungeva, quindi, alla Sonata VI, op. 65 di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809–1847), frutto di una commissione ricevuta dalla casa editrice inglese Coventry & Hollier, che inizialmente aveva richiesto tre voluntary, allo scopo di allargare il repertorio legato ad un genere tipicamente inglese.
Mendelssohn preferì invece orientarsi sulla creazione di sei sonate, date alle stampe nel 1845, frutto del connubio fra i corali di ispirazione bachiana ed il suo stile caratteristico.
Non poteva mancare una finestra sulla grande scuola francese, rappresentata da Alexandre Guilmant (1837–1911), per quasi trent’anni organista della chiesa parigina della Santa Trinità, autore di Marche funèbre et Chant Séraphique op. 17 (1868), brano inserito nel terzo dei diciotto volumi che componevano la monumentale raccolta Pièces dans différents styles pour orgue.
Toccava quindi a Marco Enrico Bossi (1861–1925), con l’Ave Maria op. 104, n.2, suggestiva e sentita traduzione musicale dell’omonima preghiera.
Va ricordato, a proposito di Bossi, che è stato l’ultimo fra i compositori italiani a godere, in ambito organistico, di una fama internazionale e che, dal 1890 al 1896, fu chiamato a ricoprire la neonata cattedra d’organo del Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella.
La serata si chiudeva con le sonorità moderne della Toccata, scritta nel 1917 da Hendrik Andriessen (1892–1981), compositore e organista olandese fra i più prestigiosi del Novecento.
Riguardo all’interprete, Angelo Castaldo, che conosciamo e apprezziamo da diverso tempo, ha dato vita ad un recital di altissimo valore, evidenziando una estrema padronanza nei confronti di tutte le composizioni eseguite, grazie alle quali ha mostrato anche le enormi potenzialità del Mascioni, op. 1072, attualmente uno dei migliori strumenti del patrimonio organistico partenopeo.
Inoltre, come ha tenuto a sottolineare il maestro nella breve presentazione avvenuta prima del concerto, i brani scelti per il recital, oltre ad essere proposti in ordine cronologico, possedevano una valenza sacra non indifferente, che andava dal Bach “penitenziale”, all’implorante Ave Maria di Bossi, passando attraverso il Padre Nostro (al centro del corale della sonata mendelssohniana), e la Morte e gli Angeli del pezzo di Guilmant.
In conclusione una serata di ottima musica, confortata dalla presenza di un pubblico piuttosto numeroso (compatibilmente alle odierne limitazioni), attento, e visibilmente entusiasta, che ha salutato il protagonista con un lungo e scrosciante applauso.
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