Siamo giunti al quarto appuntamento con il progetto del Quartetto Gagliano “Due anni con Beethoven”, supportato dall’impegno finanziario di EnerGas, consistente nell’esecuzione del ciclo integrale dei quartetti di Beethoven, iniziato nel 2019, che terminerà in concomitanza con la chiusura delle celebrazioni per il 250° anniversario della nascita del grande compositore tedesco.
Il concerto, programmato lo scorso 1° marzo a Villa Pignatelli, venne bloccato dagli eventi atmosferici ed è stato recuperato qualche giorno fa nel Chiostro Grande della Certosa di San Martino.
Tre i brani in programma, attraverso un percorso a ritroso nel tempo, partendo dal Quartetto n. 12 in mi bemolle maggiore, op. 127, completato nel 1825, che rientra in quella fase della produzione, compresa fra il 1815 ed il 1827, definita “terzo periodo”, secondo una classificazione adottata dallo scrittore tedesco Wilhelm von Lenz nella sua biografia “Beethoven e i suoi tre stili” (1852).
Dedicato al principe russo Nikolai Galitzin, violoncellista dilettante, era stato inizialmente diviso in ben sei movimenti, raggruppati poi nei consueti quattro, ma è l’unica caratteristica che l’accomuna ad un normale quartetto, in quanto per il resto Beethoven si muove abbastanza lontano dai canoni abituali.
Non dobbiamo quindi meravigliarci se, all’epoca, critici e pubblico furono negativamente impressionati se non allibiti, e i primi spesso si lasciarono andare anche a commenti offensivi, del tipo “da un compositore ormai totalmente sordo cosa ci si poteva mai attendere?”.
Si passava quindi al Quartetto n. 10 in mi bemolle maggiore, op. 74 , datato 1809 ed appartenente quindi al cosiddetto “periodo di mezzo”, nonostante appaia già un lavoro che si proietta nella stagione conclusiva.
Dedicato al principe Lobkowitz, si guadagnò l’appellativo “delle arpe”, aggiunto postumo, secondo una tipica usanza del periodo romantico, per la presenza di numerosi passaggi dove il suono è ottenuto pizzicando le corde.
Chiusura con il Quartetto n. 4 in do minore, tratto dai Sei quartetti, op. 18, scritti fra il 1798 ed il 1800, che costituirono l’esordio di Beethoven in tale ambito cameristico e mostrano nel loro insieme comprensibili riferimenti a Mozart e Haydn, ma nel contempo indicano nuove possibili strade da percorrere.
Anche qui troviamo la figura del principe Lobkowitz, uno dei principali mecenati di Beethoven, in questo caso committente e dedicatario, che gradì moltissimo la raccolta al punto da assegnare a Beethoven un vitalizio annuo di 600 fiorini, e gli regalò quattro strumenti di grandissimo valore.
E veniamo al Quartetto Gagliano, formato da Carlo Dumont e Sergio Carnevale (violini), Luciano Barbieri (viola) e Manuela Albano (violoncello), artefice di un concerto in crescendo, durante il quale ha dovuto superare le difficoltà insite soprattutto nel brano iniziale, in parte penalizzato dai problemi legati alle esecuzioni all’aperto, risolte grazie ad un equilibrio ritrovato progressivamente che ha permesso, in particolare nel secondo e terzo brano, di apprezzare tutto il valore dell’ensemble.
Ricordiamo, infine, la presentazione del noto musicologo Massimo Lo Iacono, brevemente soffermatosi sulla figura di Beethoven e dei due nobili che con lui interagirono, briosa introduzione ad un bel concerto, tenutosi in una sede un po’ problematica dal punto di vista acustico, ma straordinariamente suggestiva.
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