Il pianista Dario Candela ricorda il viaggio di Mozart a Napoli con un concerto di grandissimo livello

Foto Giancarlo de Luca

Wolfgang Amadeus Mozart, nel suo primo viaggio in Italia, soggiornò a Napoli, insieme al padre Leopold, dal 14 maggio al 25 giugno 1770.
All’epoca, la città partenopea era uno dei principali centri musicali europei, per cui Leopold sperava di ottenere per il figlio quattordicenne qualche importante commissione.
Le cose non andarono in questo senso e la trasferta si risolse in alcuni concerti tenuti nei salotti che contavano, nell’esibizione al Conservatorio della Pietà de’ Turchini, e in una fugacissima udienza presso il diciannovenne re Ferdinando di Borbone a Portici.
Nonostante il sostanziale insuccesso di tale visita, Mozart fu comunque fortemente colpito dalla città, sia per le bellezze naturali, sia per i fermenti musicali innovativi che apprese ed assorbì, tanto che, anni dopo, in una lettera al padre scriveva “…con un’opera a Napoli ci si fa più onore e credito che non dando cento concerti in Germania”.
Sono trascorsi 250 anni dalla venuta a Napoli del genio di Salisburgo, ed il pianista Dario Candela ha voluto ricordare l’evento con una serata dal titolo “1770: Mozart a Napoli”, proposta nell’ambito di “Musica sotto le stelle”, organizzata dall’Associazione Alessandro Scarlatti, in collaborazione con la Direzione regionale Musei Campania e con la direzione di Villa Pignatelli, sede della rassegna.
Si è trattato di un omaggio esteso anche a Domenico Cimarosa (1749-1801) e Domenico Scarlatti (1685-1757) perché, come asserisce l’artista “…Scarlatti, Cimarosa e Mozart sono tre mondi distinti ma parlano lingue che si riconoscono a vicenda”.
Il recital si è aperto nel segno di Cimarosa, con quattro delle ottantotto sonate per clavicembalo (C 55 in la minore, C 47 in la maggiore, C 79 in re minore e C 88 in do maggiore), contenute in una raccolta, recentemente incisa da Candela per la Dynamic, riportata alla luce nel 1924 da Felice Boghen nella biblioteca dell’Istituto Cherubini di Firenze.
Il primo tributo mozartiano consisteva nella Sonata K. 330 in do maggiore, scritta nel 1783 e pubblicata l’anno dopo dall’editrice viennese Artaria, insieme alla Sonata K. 331 in la maggiore e alla Sonata K. 332 in fa maggiore.
Si trattava forse di uno dei pezzi regalato alla sorella Nannerl, di cui parla in una lettera al padre, o di una composizione concepita per qualche allieva o per attirare il pubblico amatoriale della capitale viennese, grazie alla sua particolare brillantezza, unita ad una relativa facilità di esecuzione.
Non va dimenticato, al proposito, che Mozart era giunto da poco a Vienna, dopo la brusca interruzione del suo rapporto con la corte di Salisburgo, e doveva sopravvivere con i proventi del suo ingegno musicale.
Si proseguiva, quindi, con le Sonate K 146 in sol maggiore, K 498 in si minore e K 225 in do maggiore di Domenico Scarlatti, tratte dalle 556 sonate per tastiera, concepite per Maria Barbara di Braganza, figlia del re del Portogallo e moglie del re di Spagna, presso la quale il compositore prestò servizio, prima a Lisbona, dal 1719 al 1727, poi a Madrid tra il 1733 ed il 1757.
In realtà, solo le prime 30 sonate furono pubblicate a Londra, nel 1738, sotto la denominazione di “Essercizi per gravicembalo”, presumibilmente supervisionati direttamente dall’autore, mentre tutte le altre sono giunte a noi in copie manoscritte, custodite in due raccolte conservate rispettivamente nella biblioteca Marciana di Venezia ed in quella Palatina di Parma.
Va ancora ricordato che la lettera K, che precede le sonate, fa riferimento alla classificazione operata dal musicologo e clavicembalista statunitense Ralph Kirkpatrick, iniziata negli anni ’50 e basata sull’ordine cronologico dei vari pezzi.
Chiusura con la Sonata in sol maggiore K. 283 di Mozart, scritta a Monaco fra la fine del 1774 e l’inizio del 1775, su richiesta del barone Dürnitz.
Appartenente ad un gruppo di sei brani (catalogati come K. 279-K. 284) risultava influenzata dallo stile di Haydn e di Johann Christian Bach, ma poneva già in evidenza l’abilità compositiva di un autore appena diciannovenne.
Per quanto riguarda l’interprete, seguiamo ed apprezziamo Dario Candela da molto tempo, e anche in questa occasione ha dato vita ad un recital di notevolissimo spessore, abile a vincere, inoltre, l’oggettiva problematicità legata ad un concerto all’aperto.
Con il suo tocco di grande raffinatezza, abbinato a sonorità di estrema eleganza e ricche di sfumature, Candela ha incantato ed entusiasmato il numeroso pubblico presente, che ha chiesto a gran voce il bis.
Ne ha ottenuti due, il primo consistente in una sublime esecuzione del celeberrimo Clair de lune di Debussy ed il secondo che attingeva dalla produzione di Rachmaninov, splendida conclusione di una straordinaria serata di musica.

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