Il jazz fa capolino al Festival Internazionale del Settecento Musicale Napoletano con il “Cimarosa Project”

Foto Max Cerrito

Da studi abbastanza recenti si è progressivamente concretizzata l’ipotesi che, durante il periodo barocco, le partiture concepite per gli strumenti solisti rappresentassero solo degli spunti sui quali improvvisare.
Una prassi esecutiva che avvicina molto il barocco alla musica jazz, intuita intorno alla fine degli anni ’50 dal pianista francese Jacques Loussier che, con il suo trio, trascrisse alcune celebri composizioni di Bach, dando vita ad un connubio di notevole fattura, al quale arrise un successo mondiale.
In questo particolare ambito si è mosso anche il quintetto formato da Luca Signorini (violoncello), Bruno Persico (pianoforte), Enzo Amazio (chitarra), Enrico Del Gaudio (batteria) e Valerio Mola (contrabbasso) per dare vita al “Cimarosa Jazz Project”, presentato al Festival Internazionale del Settecento Musicale Napoletano.
In apertura, proprio nello stile di Loussier, abbiamo ascoltato i quattro movimenti del Concerto in do minore per oboe e orchestra di Domenico Cimarosa (1749-1801), nella trascrizione del maestro Persico, concepita appositamente per il quintetto.
Dopo questo splendido esempio di connubio (vocabolo che preferiamo nettamente al minaccioso “contaminazione”), largo a tre standard jazzistici, Beatiful Love (di Wayne King, Victor Young e Egbert Van Alstyne), risalente al 1931, Black Orpheus di Luiz Bonfá, dall’omonima pellicola di Camus, datata 1959 e All The Things You Are, composta da Jerome Kern nel 1939 per il musical Very Warm for May.
Nell’ultima parte del concerto sono stati invece proposti pezzi creati da alcuni componenti del quintetto, nell’ordine Song of Luca di Luca Signorini, Suoni Esposti di Bruno Persico, in ricordo del contrabbassista Carlo Dalmini, e Austin di Enzo Amazio.
Per quanto riguarda gli interpreti, costituiscono un quintetto formato da ottimi elementi, molto bravi come solisti e affiatatissimi fra loro, caratteristiche apprezzate anche dal pubblico numeroso ed entusiasta, che a chiesto un bis ed è stato accontentato con l’esecuzione di Blue Moon, motivo celeberrimo scritto nel 1934 da Richard Rodgers su testo di Lorenz Hart.
In conclusione una serata, tenutasi al Centro di Cultura Domus Ars, che ha confermato come barocco e jazz possano coesistere pacificamente e portare a intriganti sinergie.

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