Il Festival del Barocco Napoletano parte con un programma incentrato sul repertorio natalizio

Nella Sala del Toro Farnese del Museo Archeologico Nazionale si è tenuto l’appuntamento inaugurale della IV edizione del Festival del Barocco Napoletano.
Dopo gli interventi di saluto da parte del direttore del Museo, dott. Paolo Giulierini, del nuovo Console generale di Spagna a Napoli Carlos Maldonado Valcàrcel e del dott. Massimiliano Cerrito, presidente dell’Associazione Festival Barocco Napoletano e organizzatore della rassegna, e la dotta presentazione del noto critico Massimo Lo Iacono, il concerto ha avuto inizio nel segno di Giovanni Pacini (1796-1867) con l’ aria di Ottavia “Se questa man concedi”, da “L’ultimo giorno di Pompei”, opera che esordì con grande successo al teatro di San Carlo nel 1825.
Un brano avulso dal tema prettamente natalizio concepito per la serata, ma che richiamava il titolo scelto per l’apertura della rassegna “Le scoperte archeologiche e le opere dedicate alla Scuola Musicale Napoletana”, nonché una mostra allestita tempo fa al MANN.
Il programma continuava con la Cantata pastorale per la nascita di Nostro Signore “Oh di Betlemme altera povertà” per soprano, archi e basso continuo di Alessandro Scarlatti (1660-1725), appartenente ad un genere molto in auge nella Roma papale del XVII secolo.
All’epoca, infatti, il sommo pontefice era solito commissionare, ad un autore famoso, un brano vocale-strumentale in “volgare”, legato agli eventi del Natale, per farlo eseguire in sua presenza nel periodo compreso fra il Primo Vespro della Natività e la Messa di mezzanotte.
Contemporaneamente tutte le famiglie della nobiltà romana, per spirito di emulazione, gareggiarono fra loro per assicurarsi i musicisti più famosi e commissionare loro una cantata natalizia, per cui il genere conobbe uno sviluppo eccezionale.
Era poi la volta del celeberrimo Concerto grosso n. 8 in sol minore, “Fatto per la notte di Natale”, tratto dall’op. 6 di Arcangelo Corelli (1653-1713).
Nativo di Fusignano, in provincia di Parma, Corelli si spostò a Roma nel 1675, dove fu attivo come virtuoso del violino, mentre in qualità di compositore diede forte impulso al cosiddetto “Concerto grosso”, così chiamato in quanto prevedeva due gruppi, che si alternavano nell’eseguire i vari movimenti, ovvero il “Concertino”, formato dai solisti più bravi (solitamente due violinisti ed un violoncellista) e l’orchestra, detta “Concerto grosso o ripieno”.
Chiusura nel segno di Georg Friedrich Haendel (1685–1759) con l’Ouverture e due arie (Rejoice greatly, o daughter of Zion e He shall feed His flock), dal Messiah HWV 56, che esordì a Dublino nel 1742 e l’aria Let the bright Seraphim, dal Samson HWV 57, oratorio che ebbe la “prima” al Covent Garden di Londra nel 1743.
Per quanto riguarda gli interpreti, la parte vocale era affidata al soprano Erin Wakeman, che si è guadagnata subito i favori del pubblico, ben accompagnata dall’Ensemble Barocco “Accademia Reale”, compagine che ha evidenziato notevoli individualità, formata nell’occasione da Giovanni Borrelli (violino barocco di concerto), Isabella Parmiciano (violino barocco), Carmine Matino (viola barocca), Silvia Fasciano (violoncello barocco), Michele Del Canto (contrabbasso) e Tina Soldi (spinetta).
Spettatori molto numerosi ed entusiasti, che hanno chiesto ed ottenuto un bis, sul filo dell’ora di chiusura del Museo, consistente nel celeberrimo “Quanno nascette Ninno” di S. Alfonso Maria de’ Liguori, eseguito con grande trasporto dalla cantante britannica, coerente conclusione dell’intero concerto.

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