Il Festival UniMusic chiude con le atmosfere oniriche, cupe e surreali ispirate a María de Buenos Aires di Piazzolla

Risale alla fine del 1967 l’inizio della collaborazione fra il compositore argentino Astor Piazzolla ed il poeta e drammaturgo uruguaiano Horacio Ferrer.
L’esordio di questo connubio, che si sarebbe rivelato quanto mai fruttuoso, l’anno dopo diede vita  a María de Buenos Aires, la cui “prima” venne allestita nel Teatro Planeta della capitale argentina.
Definita anche tango-operita (dove per operita si intendeva un’opera di breve durata), il lavoro risultava diviso in due parti, ognuna delle quali formata da otto quadri, dove si susseguivano testi recitati, accompagnati da un sottofondo musicale, brani cantati e pezzi esclusivamente strumentali.
Lo spunto di partenza era fornito da una leggenda metropolitana, incentrata sul personaggio di María, giovane operaia di un’industria tessile, nata in un ambiente poverissimo, la cui passione per il tango era così forte da abbandonare tutto per diventare una cantante che si esibiva in locali equivoci.
Ben presto le sue pessime frequentazioni l’avrebbero portata a lavorare in una casa di tolleranza e ad essere uccisa, ancora nel fiore degli anni, durante una messa nera, alla quale partecipavano personaggi poco raccomandabili.
Sul luogo della sepoltura di María si sarebbe sviluppata in seguito la città di Buenos Aires.
Qui terminava la leggenda, il cui personaggio principale era da considerare la raffigurazione stessa della città, ma l’opera di Piazzolla-Ferrer proseguiva con una seconda parte, nella quale la ragazza, condannata all’inferno, grazie ad una magia del Duende (folletto-demone presente fin dall’inizio della storia), veniva riportata sulla terra sotto forma di ombra e dopo alcune vicissitudini, resa gravida dalla parola del Duende stesso, per cui la vicenda si chiudeva con la nascita di una bambina.
Attorno ai due protagonisti, ruotavano il Payador (giovane poeta e cantastorie), il Bandoneón (altro demone), una serie di figure tipiche dei bassifondi (ubriachi, ladri, assassini, protettori, prostitute, tenutarie), e un gruppo di psicanalisti, particolarmente numerosi all’epoca della composizione, in quanto la crisi economica aveva avuto forti ripercussioni sul morale e sull’identità nazionale degli argentini.
Pur se nel complesso la trama risulta abbastanza differente, l’ambientazione di María de Buenos Aires ci riporta alle atmosfere dell’Opera da tre soldi di Brecht-Weill (a sua volta tratta dalla settecentesca Opera del Mendicante del britannico John Gay), anch’essa ambientata in ambienti malfamati.
Il parallelismo prosegue con l’incertezza sociale ed economica, legata al periodo che vide nascere i due lavori, e le sue nefaste conseguenze (la politica portata avanti dalla Repubblica di Weimar avrebbe favorito l’avvento del nazismo, mentre l’Argentina, reduce dal regime peronista, era da poco passata nelle mani dei militari).
Non bisogna dimenticare, poi, l’ambito strettamente musicale, con l’utilizzo di un ensemble, ridotto a pochi elementi, e la presenza di alcune innovazioni.
Limitandoci a Piazzolla, riscontriamo gli esordi del cosiddetto “Nuevo Tango”, tramite l’innesto di strumenti avulsi dalla tradizione e più vicini ad altri generi, quali ad esempio la chitarra elettrica ed il contrabbasso, presenze che fecero gridare allo scandalo i puristi del tango e costarono al compositore anni di emarginazione, accompagnati da feroci polemiche.
Infine, va ricordato come, sia l’Opera da tre soldi, sia María de Buenos Aires, abbiano trovato in Milva un’interprete d’eccezione (addirittura, l’autore argentino le mise a disposizione lo spartito, considerandola l’unica cantante italiana in grado di calarsi nel personaggio, ma per vari motivi la “prima” ebbe luogo a Milano solo nel 2008, a cura di Laura Escalada Piazzolla, vedova del compositore).
Questo lungo approfondimento era necessario per introdurre l’appuntamento conclusivo del festival UniMusic, tenutosi nel Cortile delle Statue della “Federico II”, intitolato “Un Tango para María” (María … vida, muerte y resurrección del Tango), dove l’opera di Piazzolla era proposta sotto forma di concerto-spettacolo, avvalendosi dell’adattamento di Alina Di Polito e della rielaborazione musicale di Mauro Navarra.
Ad eseguirla un gruppo comprendente i cantanti Alina Di Polito (María) e Diego Moreno (El Payador), la voce recitante di Gennaro Ciotola (El Duende), ed un sestetto formato da Mariano Navone (bandoneón), Alessandro Marino (violino), Raffaele Cardone (chitarra), Antonio Di Costanzo (contrabbasso), Mauro Navarra (flauto) e Ivano Leva (pianoforte).
Senza entrare troppo nei dettagli, vanno fatte alcune considerazioni legate alla musica ed al testo.
Riguardo alla prima, come abbiamo già accennato in precedenza, siamo ad un punto di svolta nello stile di Piazzolla, che trasforma i ritmi argentini, fondendoli spesso con sonorità contemporanee.
A tale proposito sarebbe bene non dimenticare la solida preparazione musicale del compositore, tra l’altro allievo a Parigi della leggendaria Nadia Boulanger (e in patria di Alberto Ginastera), per cui circoscriverlo a creatore di tanghi, sebbene a questi ultimi debba indubbiamente la notorietà (nel male, ancora per molti argentini, e nel bene, per il resto del mondo), appare decisamente riduttivo.
E da questo punto di vista María de Buenos Aires risulta piuttosto indicativa, così come è emerso dalla superba interpretazione del sestetto strumentale, che ha evidenziato degli ottimi solisti, ben affiatati fra loro, che hanno inoltre ben supportato i due cantanti, Alina Di Polito e Diego Moreno, calatisi con grande intensità e notevole presenza scenica nei rispettivi ruoli di María e del Payador.
Più problematica, invece, l’interazione con Gennaro Ciotola (Duende) in quanto, nonostante la bravura dei tecnici, le musiche finivano per sovrastare il recitativo, che comunque, anche quando il tono degli strumenti era più basso, risultava di ardua comprensione.
E qui entriamo nel discorso legato al testo, poiché le liriche, dovendo aderire all’atmosfera cupa, surreale e onirica della vicenda, anche se ben tradotte in italiano, erano caratterizzate da un filo logico piuttosto esile.
Non andavano meglio, dal punto di vista della comprensione, le parti cantate, in quanto Ferrer decise di scrivere il testo in lunfardo, ovvero il gergo del popolo porteño, nato dalla mescolanza di lingue e dialetti parlati dagli immigrati di tutto il mondo, che raggiunsero Buenos Aires nel XIX secolo, stabilendosi nei quartieri più poveri della città (motivo per il quale, essendo elevata la concentrazione di malviventi in tali zone, si è finiti erroneamente con l’attribuire questo particolare linguaggio soltanto alla malavita locale).
Uno sguardo finale sul pubblico, costituto da un buon numero di appassionati di tango, che hanno applaudito a lungo gli ottimi protagonisti, anche se pensiamo siano rimasti alquanto spiazzati dalle sonorità di un lavoro così particolare e complesso.
Non poteva mancare il bis, consistente nel brano Yo soy María, con il quale la protagonista si presenta al pubblico durante il terzo quadro della parte iniziale e, dopo questa suggestiva riproposizione, la conclusione è stata affidata a Gaetano Russo, fondatore e direttore artistico della Nuova Orchestra Scarlatti.
Il maestro ha voluto fare un breve consuntivo della prima edizione del festival UniMusic, organizzata in partnership con l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli.
Ha perciò ricordato gli otto concerti principali, coronati da una grande partecipazione di pubblico, tenutisi in prestigiose location (Cortile del Maschio Angioino, Cortile delle Statue della “Federico II”, Chiesa dei SS. Marcellino e Festo) e in sedi di recente costruzione (Auditorium del complesso universitario di San Giovanni a Teduccio), nonché le manifestazioni collaterali portate avanti nei Musei di Mineralogia, Fisica, Zoologia, Antropologia e Paleontologia dell’Università di Napoli, il tutto all’insegna della musica di qualità non rigorosamente classica, affidata a un numero cospicuo di artisti affermati anche in ambito internazionale e a un gruppo di giovani talenti.
Dal nostro punto di vista, vorremmo soltanto aggiungere che la rassegna ha avuto il non trascurabile merito di coprire un periodo dell’anno (giugno-luglio), solitamente piuttosto avaro di eventi musicali cittadini, per cui l’augurio conclusivo è che possa proseguire anche il prossimo anno.

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