Negli ultimi decenni si sono aperti spazi a nuove congetture per quanto concerne l’esecuzione dei pezzi barocchi e, fra l’altro, si è giunti alla conclusione che, molto probabilmente, le partiture concepite per gli strumenti solisti rappresentassero solo degli spunti sui quali improvvisare.
Ciò avvicina sensibilmente il barocco alla musica jazz e, già prima che venissero formulate queste ipotesi, ovvero intorno alla fine degli anni ’50, il pianista francese Jacques Loussier, con il suo trio, trascrisse alcune celebri composizioni di Bach, dando vita ad un intrigante connubio (vocabolo da noi preferito al più utilizzato “contaminazione”, che ci è sempre apparso poco rassicurante).
La serie, nota come “Play Bach”, riscosse un successo planetario ed ancora oggi risulta uno dei migliori esempi di fusione fra musica classica e jazz.
Alla luce di questo preambolo, non dobbiamo meravigliarci se anche il Festival del Barocco Napoletano, giunto alla sua terza edizione, abbia voluto aprire una piccola finestra sull’argomento, affidando uno dei suoi concerti al Gino Giovannelli Trio, formato da Gino Giovannelli (pianoforte), Umberto Lepore (contrabbasso) e Salvatore Rainone (batteria).
Il programma proposto ha alternato brani del Settecento a pezzi più vicini ai nostri giorni, partendo dalla Sonata K 1 in re minore di Domenico Scarlatti (1685 -1757), appartenente al corpus di 556 brani per strumenti a tastiera composti dall’autore napoletano.
In particolare la K 1 risulta fra le uniche trenta sottoposte alla supervisione dell’autore e pubblicate a Londra nel 1739 nell’ambito della raccolta intitolata “Essercizi per gravicembalo”.
Era poi la volta di Arthur Schwartz (1900-1984), celebre produttore e compositore statunitense, che scrisse numerose canzoni per le commedie musicali di Broadway, fra le quali Alone together, su testo di Howard Dietz, appartenente a Flying Colors (1932), che aveva come protagonista principale Clifton Webb.
Il successivo Preludio BWV 847 in do minore era tratto dal primo libro del “Clavicembalo ben temperato” di Johann Sebastian Bach (1685-1750), risalente al 1722, che ha preceduto Someday my prince will come, dalla colonna sonora di “Biancaneve e i sette nani”, che si deve a Frank Churchill (1901-1942), noto anche per aver scritto il leitmotiv del cortometraggio animato “I tre porcellini”.
A seguire un’altra sonata di Domenico Scarlatti, la K 466 in fa minore e la Sarabande, dalla Sonata in re minore HWV 437 di George Friedrich Händel (1685-1759), sul tema della “Follia di Spagna”.
In chiusura il trio ha eseguito “Un giorno qualunque” di Gino Giovannelli dal suo ultimo album intitolato Overwhelmed.
Nel complesso un ottimo concerto, che ha evidenziato un trio di elevato spessore, spesso penalizzato da un’acustica infelice (a tal proposito sembra sia imminente l’apertura di uno spazio del Museo, meno prestigioso come cornice, ma decisamente migliore dal punto di vista sonoro), esibitosi davanti ad un pubblico numerosissimo e una volta tanto formato in prevalenza da giovani spettatori, con la speranza che abbiano recepito, nelle pieghe del jazz, anche i tanti elementi barocchi.
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