Il recente appuntamento dei “Concerti di Autunno”, rassegna organizzata dalla Chiesa Evangelica Luterana, la cui direzione artistica è affidata a Luciana Renzetti, ha avuto come protagonista il pianista Giulio Potenza, nato a Palermo nel 1990.
Il musicista, a dispetto della sua giovane età, ha un curriculum di respiro internazionale, maturato principalmente in Gran Bretagna, dove ancora ricopre il ruolo di docente di pianoforte presso la Windsor Piano Academy ed è direttore artistico della “Windsor International Piano Competition” e del “Windsor Competitive Festival”, mentre in Italia insegna all’ “Istituto Superiore di Studi Musicali Achille Peri” di Reggio Emilia.
Per i “Concerti di Autunno”, Potenza ha concepito un programma piuttosto particolare, se lo paragoniamo ai consueti recital pianistici, iniziando con la Sonata 1.X.1905 in mi bemolle minore del ceco Leoš Janáček (1854-1928).
Il brano è legato ad un tragico avvenimento, occorso nell’ottobre del 1905, quando il ventenne František Pavlík venne ucciso dalla polizia austriaca, durante una dimostrazione pacifica tenutasi a Brno per sollecitare l’apertura dell’Università, fortemente osteggiata dalla minoranza tedesca lì presente.
Il compositore volle apporre sulla partitura anche una sorta di epitaffio, nel quale si condannava il barbaro assassinio del giovanissimo operaio.
La genesi del lavoro fu particolarmente travagliata e già la sera della “prima”, avvenuta nel 1906, la pianista Ludmila Tučková, su richiesta di Janáček, eseguì solo i primi due movimenti, omettendo quello conclusivo.
In seguito, preso da sconforto, il compositore decise addirittura di distruggere il brano, gettandolo nella Moldava.
Si pentì, poi, di questo gesto e, grazie alla Tučková, che aveva conservato la partitura dei due movimenti, intitolati rispettivamente Předtucha (Presentimento) e Smrt (Morte), la sonata non solo conobbe un nuovo esordio nel 1924, ma fu anche pubblicata, sotto la supervisione dell’autore, dalla casa editrice praghese Hudební Matice.
Secondo pezzo in programma, forse l’unico familiare per il pubblico, Kinderszenen op.15 di Robert Schumann (1810-1856), raccolta risalente al 1838, che comprende tredici brani molto brevi, dove la sensibilità è anteposta al virtuosismo, fra i quali il celebre Träumerei (Sogno), collocato in posizione centrale.
Si tratta di reminiscenze infantili dell’autore, scaturite da alcune frasi che Clara aveva scritto in una lettera, alludendo al suo comportarsi spesso come un bambino.
Per questo Schumann disse che li aveva concepiti “per i piccoli fanciulli da un fanciullo grande”, ma poi cambiò idea definendoli “reminiscenze per adulti da parte di un adulto”.
Si tornava quindi a Janáček con “In the mists” (Nella nebbia), datata 1912 e sua ultima composizione per pianoforte, scaturita sia dal perenne ricordo della figlia Olga, morta di tifo nel 1903 a poco più di venti anni, sia dal rifiuto dell’Opera di Praga di allestire un suo lavoro.
L’atmosfera “nebbiosa” che pervade l’intera composizione, sottolineata dalle tonalità utilizzate, che in molti ha richiamato le immagini impressionistiche di Debussy, si riferisce non al fenomeno atmosferico, bensì allo stato d’animo del musicista.
Da un autore sconfortato ad un altro appena diplomato, che sarebbe divenuto famoso ma, nel momento in cui scrisse i cinque “Morceaux de Fantaisie”, op. 3 versava in condizioni economiche precarie.
Stiamo parlando del russo Sergej Rachmaninov (1873-1943) che, fresco di diploma al Conservatorio di Mosca, nel 1892 concepì questa breve raccolta, dedicata ad Anton Arenskij, suo docente di Armonia, proponendola nello stesso anno al festival Moscow Electrical Exhibition.
Inessa sono contenuti l’Élégie in mi bemolle minore n. 1, proposta da Potenza, nonché il celeberrimo Preludio in do diesis minore n. 2.
Il recital si chiudeva con la Sonata tragica n. 5 di Nikolaj Medtner (1880-1951), posta a chiusura del secondo ciclo delle “Forgotten Melodies”, costituite in totale da tre cicli, catalogati come op. 38, op. 39 e op. 40, scritti fra il 1916 ed il 1922.
Amico di Rachmaninov, che talora lo supportò anche finanziariamente, Medtner maturò uno stile frutto di un’influenza reciproca fra i due, e la sua produzione venne interamente rivolta al pianoforte, strumento del quale aveva una enorme padronanza, ma la presunzione di voler suonare in pubblico solo sue composizioni, finì per sbarrargli la carriera di solista.
Nonostante venisse ai suoi tempi definito “Il Brahms russo”, alla fine, per ottenere un certo successo, dovette trasferirsi a Londra, dove nel 1946 l’indiano Jayachamaraja Wodeyar Bahadur, maragià di Mysore e pianista dilettante, volle fondare la Medtner Society, con lo scopo di registrare l’intera produzione del compositore che, nonostante la sua precaria salute, partecipò a numerose incisioni.
Anche stavolta ci siamo un po’ dilungati, ma la “colpa” è di un programma quanto mai interessante, che ha posto all’attenzione del pubblico due autori che difficilmente si ascoltano quali Janáček e Medtner.
Il merito va sicuramente a Giulio Potenza, diventato in breve tempo un esperto della produzione pianistica del primo, in parte incisa in un cd pubblicato lo scorso anno dalla casa giapponese Da Vinci Records, e che sicuramente approfondirà il repertorio del secondo.
Ma, a parte queste considerazioni, in ambito interpretativo, oltre ad una bravura notevolissima, colpiscono il suo modo di immedesimarsi totalmente con i brani che esegue e la sua simbiosi impressionante con lo strumento, il che porta a trasferire grandi emozioni anche in chi lo ascolta.
Pubblico numeroso, se rapportato alla inusualità del programma, e sicuramente soddisfatto, considerando gli applausi lunghi e scroscianti che hanno salutato il pianista alla fine del concerto.
Non poteva mancare il bis, che con il Notturno, op. 54, tratto dal Quinto volume dei Pezzi Lirici di Grieg, ci ha fatto rivivere le atmosfere norvegesi, finale sognante di una splendida serata musicale.
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