Il terzo concerto della rassegna “Organi Storici della Campania”, organizzato dall’Associazione Alessandro Scarlatti e tenutosi nella chiesa dell’Immacolata al Vomero, ha avuto come protagonista il danese Lars Frederiksen.
Il maestro, che si esibiva a Napoli per la prima volta, si è confrontato con autori prevalentemente tedeschi, proponendo una panoramica cronologica compresa fra Seicento e prima metà dell’Ottocento.
Apertura con il Præambulum in re di Heinrich Scheidemann che può essere considerato il precursore di grandi figure quali Buxtehude e Bach.
Perfezionatosi ad Amsterdam con Sweelinck, fu attivo ad Amburgo dove nel 1629 divenne organista titolare della chiesa di Santa Caterina, succedendo al padre, incarico mantenuto fino all’anno della sua morte (1663).
Il successivo Præludium a 5 vocum apparteneva a Matthias Weckmann (1616–1674),
allievo di Schütz a Dresda che, come Scheidemann, portò avanti una prestigiosa carriera ad Amburgo, collaborando con Praetoriuys.
Era quindi la volta della Passacaglia in re BuxWV 161 e della Canzonetta in sol BuxWV 171 di Dietrich Buxtehude (1637 –1707), danese trapiantato a trentun anni in Germania, figura oggi abbastanza in ombra, mentre ai suoi tempi era una leggenda, tanto da influenzare anche il giovane Bach, che nel 1705, percorse a piedi più di 400 chilometri per recarsi da Arnstadt, dove lavorava, a Lubecca, città nella quale Buxtehude ricopriva il ruolo di organista titolare della Marienkirche.
Non si sa se i due si incontrarono e, al proposito, Johann Nikolaus Forkel, nella sua biografia di Bach, afferma solo che quest’ultimo fu “ascoltatore segreto” di Buxtehude, allo scopo di carpirgli i segreti del mestiere.
Il concerto proseguiva con due brani di Johann Sebastian Bach (1685-1750), il preludio al Corale Schmücke dich, o liebe Seele, BWV 654 e il Preludio e fuga in do maggiore, BWV 547.
Il primo apparteneva ai Preludi corali di Lipsia, creati fra il 1740 ed il 1750, così definiti poiché il manoscritto che li conteneva venne rinvenuto in quella città, sebbene fossero frutto di rielaborazioni di pezzi composti precedentemente a Weimar.
Il secondo, che risale presumibilmente agli anni intorno al 1744, presenta alcune affinità sia con la cantata natalizia Christen, atzet diesen Tag BWV 63, sia con la cantata Sie werden aus Saba alle kommen BWV 65, legata all’Epifania.
In realtà, riferimenti liturgici a parte, tali riferimenti potrebbe essere stati recuperati in quanto adatti agli scopi di Bach che, nella produzione dei suoi ultimi anni, concepì lavori dove il virtuosismo era proteso al raggiungimento di architetture quanto mai solide e complesse, limitando l’abilità dell’interprete a saper incrociare le mani o ad eseguire velocemente e senza errori una serie di note.
Il concerto si è concluso con la Sonata n. 6 in re minore, op. 65 di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 – 1847), ultima di una raccolta scritta su commissione della casa editrice inglese Coventry & Hollier, che venne data alle stampe nel 1845.
In effetti, almeno inizialmente, la richiesta verteva sulla creazione di tre voluntary, allo scopo di allargare il repertorio di un genere tipicamente britannico, mentre l’autore tedesco preferì utilizzare come fermo punto di riferimento i corali di Bach, ai quali aggiunse una impronta personale.
E, considerando l’intero gruppo di sonate, mai come nella n. 6 in re minore è possibile apprezzare gli echi bachiani nei primi due movimenti e l’apporto di Mendelssohn in quello conclusivo.
A ciò va aggiunto che il motivo del corale di partenza, “Vater unser im Himmelreich”, è attribuito a Martin Lutero in persona.
Uno sguardo ora all’interprete che, come tutti i solisti provenienti dall’Europa del Nord, ha evidenziato una padronanza esecutiva enorme, pur non avendo avuto molto tempo per familiarizzare con il Mascioni, op. 1072 (del quale al termine del recital ha voluto lodare l’ottima qualità del suono e la notevole versatilità).
Il discorso è che, nei paesi nordici, essere organisti è sempre stato un mestiere a tutti gli effetti, anche molto apprezzato, grazie al quale è possibile vivere più che dignitosamente, senza dover necessariamente ricorrere ad ulteriori integrazioni economiche.
Purtroppo non è così dalle nostre parti, dove i musicisti validi non mancano, ma sono raramente valorizzati, così come difficilmente le autorità ecclesiastiche considerano l’organo alla stregua di un’opera d’arte, per cui capita che, ove mai si ottengano fondi per lavori di restauro, difficilmente il loro impiego è destinato al recupero di uno strumento.
Per non parlare del fatto che, una sostanziosa parte di religiosi (con rare eccezioni, fra le quali rientra padre Leonardo Mollica, attuale parroco della chiesa dell’Immacolata al Vomero che, nel lontano 1984, ha fortemente voluto l’acquisto dell’organo) sono privi di cultura musicale, al punto che mettono sullo stesso piano una tastiera elettrica con un Mascioni o un Tamburini.
Ritornando al concerto, Lars Frederiksen ha voluto concedere un bis, omaggio al pubblico presente e alla “padrona di casa”, eseguendo la celebre Prière à Notre-Dame, penultimo movimento della Suite Gothique, op. 25 del francese Léon Boëllmann, degna conclusione di un concerto di elevatissimo livello.
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