Primo appuntamento con la rassegna “Artesalvarte”, organizzata dall’Associazione Onlus “L’Atrio delle Trentatré”, presieduta da Francesco Galluccio, in collaborazione con il maestro Antonello Cannavale.
Ospiti della serata inaugurale, tenutasi nell’Antico Refettorio, parte integrante del Complesso Monastico Santa Maria in Gerusalemme (edificio ancora oggi abitato da un piccolo gruppo di suore di clausura), il violoncellista Andrea D’Angelo ed il pianista Bernardo Maria Sannino, che hanno aperto la serata con il Rondo in sol minore, op. 94 di Antonín Dvořák (1841-1904).
L’origine di questo brano è piuttosto curiosa, in quanto legata alla preparazione della tournée, che l’autore ceco intraprese in Boemia nel 1892 con il violinista Ferdinand Lachner e il violoncellista Hanuš Wihan, prima di partire alla volta degli Usa, dove era stato chiamato a dirigere il neonato conservatorio di New York.
Inizialmente aveva concepito un programma comprendente due trii (l’op. 26 in sol minore e l’op. 90 in mi minore) e i Quattro pezzi romantici op. 75 per violino e pianoforte.
Ma, così facendo, il violoncellista avrebbe suonato meno del violinista e quindi, per evitare problemi di sorta, Dvořák compose nel 1891, fra Natale e Santo Stefano, questo delizioso pezzo, trascritto poi per violoncello e orchestra nel 1893, durante il suo soggiorno statunitense, con dedica a Hanuš Wihan.
La successiva Sonata in la minore D. 821 di Franz Schubert (1797-1828), datata 1824, risulta nota anche come “Arpeggione”.
Il soprannome è dovuto al fatto che il brano era destinato ad uno strumento, inventato dal liutaio viennese Johann Georg Stauffer e fortemente sponsorizzato dal virtuoso violoncellista Vincenz Schuster, frutto di un incrocio fra violoncello e chitarra.
La sua diffusione non ebbe, però, il successo sperato e, come unica testimonianza, è rimasta questa composizione, per arpeggione e pianoforte.
Pubblicata postuma nel 1871, la sonata ha conosciuto numerose versioni, la più nota delle quali sostituisce tale strumento ibrido con il violoncello.
Dopo un breve intervallo, la seconda parte è stata interamente dedicata alla Sonata per violoncello e pianoforte n. 3 in la minore op. 69 di Ludwig van Beethoven.
Risalente al 1808, periodo fra i più fecondi della produzione del gigante di Bonn, venne dedicata al barone Ignaz von Gleichenstein, amico del musicista e buon violoncellista.
Beethoven raggiunse qui un perfetto equilibrio fra i due strumenti, frutto di un lavoro piuttosto lungo e complesso, iniziato l’anno precedente e, a tal proposito, giova ricordare come l’autore tedesco fu il primo ad affidare al violoncello un ruolo di co-protagonista, affrancandolo da una funzione, fino ad allora limitata al solo accompagnamento del pianoforte.
All’op. 69 è legata anche una sorta di mistero, relativo all’intestazione della partitura, contenente le parole “Inter lacrymas et luctum” (“Fra lacrime e lutti”), che per diversi studiosi si riferisce alla paura del musicista di non poter continuare a vivere a Vienna, date le sue condizioni economiche disagiate.
Veniamo quindi ai protagonisti, il violoncellista Andrea D’Angelo ed il pianista Bernardo Maria Sannino, confrontatisi ottimamente con un programma che, soprattutto nei pezzi di Schubert e Beethoven, abbinava difficoltà tecniche a grande sensibilità e raffinatezza, peculiarità evidenziate da entrambi gli interpreti, apparsi ben affiatati fra loro e molto bravi anche individualmente.
Pubblico numeroso dove, almeno per una volta, si riscontrava una netta prevalenza di giovani, che hanno apprezzato i due esecutori, chiedendo a gran voce un bis.
Sono stati accontentati con la proposizione di un brano piuttosto inusuale, La Prophétie de Gwenc’hlan, dalle Vingt Chansons bretonnes per violoncello e pianoforte, op.115 del parigino Charles Koechlin, autore sicuramente da approfondire.
In conclusione un inizio molto promettente, relativo ad una stagione che sta muovendo i suoi primi passi, nata per unire musica ed arte e che, per questa prima edizione, ha come scopo principale di portare alla ribalta giovani talenti e di raccogliere fondi per il restauro della tela settecentesca “Santa Chiara che scaccia i Saraceni”, collocata sull’altare laterale destro della chiesa del monastero.
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