Nata a Napoli nella prima metà del Cinquecento, la villanella o canzone villanesca, era così chiamata per gli argomenti che caratterizzavano i diversi brani, di origine rustica, volti spesso a mettere alla berlina sia i pezzi “seri” in auge al momento, sia figure e comportamenti degli abitanti delle campagne, definiti “villani”.
Il genere, almeno inizialmente circoscritto in ambiti nobiliari, si diffuse velocemente in tutte le corti europee, grazie alla sua gradevolezza e vivacità, ed anche al fatto che, all’epoca, Napoli era un fondamentale crocevia culturale, meta ambita di musicisti provenienti anche da nazioni lontane.
La villanella si ammantò ben presto anche di un significato politico, in quanto l’uso della lingua napoletana venne considerato, dalla nobiltà locale che, con il passaggio della città dagli aragonesi agli spagnoli aveva perso molto del suo peso, una sorta di resistenza ai nuovi dominatori.
Nel complesso siamo di fronte ad un repertorio ancora oggi contraddistinto da grande fascino, al quale il maestro Francesco Cera ha voluto dedicare una serie di approfondimenti, sfociata in un cd della Brilliant Classics (distribuita in Italia da Ducale Music) dal titolo “Erotica Antiqua”, dove il noto clavicembalista, con il suo Ensemble Arte Musica, accompagna il soprano Letizia Calandra in un suggestivo viaggio storico-musicale.
La panoramica comprende brani di autori napoletani (alcuni anonimi), di compositori non locali che comunque avevano soggiornato per un certo periodo a Napoli, ed anche lavori di musicisti che, pur non avendo mai frequentato la corte partenopea, erano comunque rimasti particolarmente colpiti dal genere.
Il disco si apre con uno dei pezzi più famosi, Villanella che all’acqua vai, che si deve a Giovanni Leonardo Mollica (ca. 1530–1602), noto anche come Giovanni Leonardo “Dell’Arpa” per la sua grande abilità nel suonare tale strumento.
Di lui si sa soltanto che nacque e morì a Napoli, dove portò avanti buona parte della sua carriera, e fu attivo a Roma per una quindicina di anni.
Relativamente alla sua produzione, sono giunte fino a noi 24 villanelle, stampate insieme a brani di altri compositori tra il 1565 e il 1570.
L’incisione prosegue con un gruppo appartenente a quella che è considerata, pur se si tratta di una riedizione, la prima raccolta di villanelle (in totale quindici, di autori anonimi, alcune delle quali in lingua napoletana, altre in ibrido italiano-napoletano), pubblicata a Napoli nel 1537 da Giovanni da Colonia e attualmente conservata presso la Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel in Bassa Sassonia.
Ad essa appartiene la celeberrima Boccuccia d’uno persic’ aperturo, dove la bocca femminile viene paragonata a una pesca sul punto di maturare, una delle tante metafore presente nei testi per descrivere la sensualità femminile, il che giustifica l’appellativo scelto per contraddistinguere il disco.
Altro autore “autoctono” risulta Giovanni Domenico Da Nola (ca. 1515-1592), maestro di cappella alla SS. Annunziata di Napoli, dal 1563 alla fine dei suoi giorni, che nel 1541 pubblicò due libri di Canzoni Villanesche a tre voci, dove trovarono posto Fontana che dai acqua e Fuggit’ Amore.
Bolognese era invece Filippo Azzaiolo, vissuto nel XVI secolo, del quale si conosce pochissimo, tranne che pubblicò tre libri di Villotte, editi da Antonio Gardano a Venezia, i primi due anonimi (datati rispettivamente 1557 e 1559), mentre il terzo, risalente al 1569, sotto il suo nome.
Per quanto riguarda le villotte, le potremmo definire “villanelle del Nord”, in quanto legate a figure strettamente locali, come si evince da Girometta senza te non viverò.
I successivi quattro brani (Matona mia cara, ‘Sto core mio, Madonna mia, pietà e O occhi manza mia) attingevano alla produzione profana del fiammingo Orlando Di Lasso (ca. 1532-1594), sicuramente più noto per i suoi brani sacri, che soggiornò a Napoli presumibilmente fra il 1549 ed il 1552.
Penultimo autore preso in considerazione Baldassarre Donato (ca. 1529–1603), illustre esponente della scuola veneziana che ricoprì il ruolo di maestro di Cappella della basilica di San Marco dal 1590 al 1603, rappresentato da Chi la gagliarda.
Chiusura nel segno del partenopeo Andrea Falconieri (ca. 1585-1656), che studiò nella città natale (forse con Jean de Macque), e poi a Parma con il liutista virtuoso Santino Garsi.
Dopo aver girato varie corti italiane e straniere, tornò a Napoli, dove terminò la sua carriera, stroncato dalla peste nel 1656.
Di questo prestigioso musicista sono proposte O bellissimi capelli, Vezzosette e care pupillette ardenti e Occhietti amati, dal Primo libro di Villanelle, pubblicato nel 1616 a Roma.
Uno sguardo ora agli esecutori, partendo dal soprano Letizia Calandra, dotata di una splendida voce, che riesce a fornire un’interpretazione intensa e passionale dei diversi brani, mantenendosi nell’alveo di una grande raffinatezza e a evitare lo sconfinamento nel cattivo gusto e nella platealità, che in questi casi sono costantemente in agguato.
Un compito facilitato dall’ottimo apporto di una compagine affiatata e di altissimo livello come l’Ensemble Arte Musica, formato da Francesco Cera (direttore e clavicembalo), Serena Bellini (flauti), Michele Pasotti (viuhela e tiorba), Francesco Tomasi (chitarra rinascimentale e chitarra barocca), Silvia De Maria (viola da gamba e lirone) e Massimiliano Dragoni (percussioni e salterio).
In conclusione un cd di grande impatto, che ricrea in modo mirabile le atmosfere rinascimentali, mettendo in evidenza un genere grazie al quale Napoli conquistò per la prima volta il mondo musicale europeo.
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