La chiesa di San Francesco delle Monache, sede del Centro di Cultura Domus Ars, ha recentemente ospitato il concerto inaugurale della seconda edizione di “Sicut Sagittae”, Festival Barocco affidato alla direzione artistica di Antonio Florio.
Proprio il maestro Florio, a capo della Cappella Neapolitana (compagine da lui fondata nel 1987 con il nome di “Cappella della Pietà de’ Turchini”), ha aperto la rassegna proponendo la prima esecuzione moderna dell’“Oratorio de los Santos Niños” di Donato Ricchezza (1648-1716).
Autore del quale si sa piuttosto poco, Ricchezza fu allievo del Conservatorio di S. Maria di Loreto insieme a Gaetano Veneziano, ed entrambi ebbero come docente Francesco Provenzale.
Venne poi ammesso alla Real Cappella come virtuoso di violino, prese anche i voti, e successe a Cristofaro Caresana nel ruolo di maestro di cappella dell’Oratorio dei Filippini (oggi più noto come Oratorio dei Girolamini), così chiamato perché fondato da religiosi, arrivati da Roma alla fine del Cinquecento, appartenenti all’ordine di San Filippo Neri.
Proprio ai padri oratoriani Ricchezza lasciò le sue composizioni, una cinquantina circa, tuttora conservate nell’archivio dei Girolamini sotto forma di manoscritti.
Da questa autentica miniera proveniva anche l’ “Oratorio de los Santos Niños” ovvero “San Giusto e San Pastore”, datato 1683, anno in cui arrivò a Napoli Alessandro Scarlatti, portato nella città partenopea dal nuovo viceré Gaspar Méndez de Haro, marchese di El Carpio.
Non è un caso che la vicenda alla base dell’oratorio sia strettamente legata alla tradizione iberica, in quanto i fratelli Giusto e Pastore, ancora oggi veneratissimi in Spagna, vennero martirizzati nel 304 ad Alcalá de Henares (la romana Complutum), durante la persecuzione di Diocleziano quando avevano rispettivamente 7 e 9 anni, per cui sono definiti anche “Los Santos Niños”.
Il lavoro, diviso in due parti, oltre a Giusto e Pastore (il cui ruolo era affidato in origine a cantanti castrati), presentava altri due personaggi, il soldato romano, che cerca di ridicolizzare i piccoli e li esorta a studiare invece di voler fare gli eroi, ricevendo tutta una serie di risposte che testimoniano la cultura grammaticale dei due piccoli, ed il prefetto Daciano che li condannerà a morte.
Un vero e proprio confronto, sottolineato da un testo di anonimo molto ben congegnato, fra i bimbi e autorità, ovvero tra il Cristianesimo spagnolo ed il Paganesimo degli invasori romani.
Dal punto di vista musicale siamo di fronte ad un piccolo gioiello che, pur risentendo (e non potrebbe essere altrimenti) dell’influenza di Provenzale, evidenzia comunque l’abilità compositiva di Donato Ricchezza.
Riguardo agli interpreti, la parte vocale si avvaleva di un ottimo e ben affiatato quartetto costituito dal soprano Federica Pagliuca (San Pastore), dal contralto Marta Fumagalli (San Giusto), dal tenore Luca Cervoni (Soldato romano) e dal basso Giuseppe Naviglio (Daciano), ben calati nei rispettivi personaggi.
Salda e compatta come sempre la Cappella Neapolitana, formata da Alessandro Ciccolini e Marco Piantoni (violini), Rosario Di Meglio (viola), Alberto Guerrero (violoncello), Franco Pavan, Pierluigi Ciapparelli (tiorba e arciliuto), Andrea Perugi e Carlo Maria Barile (cembali), il tutto, naturalmente, sotto la sapiente direzione del maestro Antonio Florio.
Ricordiamo ancora la breve ed esauriente introduzione del musicologo Dinko Fabris, che ha illustrato l’oratorio e fornito le poche notizie in suo possesso relative alla biografia di Ricchezza.
Pubblico numerosissimo ed entusiasta, che alla fine ha ricevuto ben due bis, uno dei quali relativo alla “Passacaglia dell’acqua”, da “La gara degli elementi” (solista Marta Fumagalli), altro oratorio di Ricchezza, datato 1681, frammento utile ad alimentare ulteriori curiosità intorno all’autore.
In conclusione “Sicut Sagittae” si apre con una serata di estremo interesse storico-musicale, degna celebrazione di un percorso in continuo divenire, quello della Cappella Neapolitana di Antonio Florio, iniziato nel lontano 1987 con “La colomba ferita” di Francesco Provenzale.
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