L’appuntamento inaugurale del ciclo “Miti di Musica”, organizzato dall’Associazione Alessandro Scarlatti, in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale, ha ospitato l’Ensemble Vocale di Napoli, diretto da Antonio Spagnolo.
Dedicato a Rino Zurzolo, noto contrabbassista prematuramente scomparso lo scorso aprile (la cui sorella Francesca, soprano, è fra le colonne portanti della compagine corale) il concerto si suddivideva in due parti, con la prima dedicata ad autori attivi fra il Cinquecento e gli albori del Settecento.
In apertura abbiamo ascoltato due chansons del franco-fiammingo Josquin Desprez (1450-1521), Mille regretz e Nymphes des bois, quest’ultima scritta come compianto della morte di Johannes Ockeghem, suo illustre predecessore.
Toccava quindi ad una breve panoramica sul madrigale, iniziata con Ecco, o mia dolce pena (dal Quarto Libro de’ Madrigali a 5 voci, Napoli 1603) e Eccomi pront’ai baci (dal Primo libro dei madrigali a 5 voci, Venezia 1582) entrambi del barese Pomponio Nenna (1556-1608).
A seguire O morte e Or che da te, mio bene, due degli otto madrigali di Alessandro Scarlatti (1660-1725) dei quali si abbia notizia, composti probabilmente per puro diletto, fra la fine del Seicento ed i primi anni del Settecento, fra i quali era inserito Io piango o Filli di Giovanni De Macque (1548-1615), su testo di Jacopo Sannazaro, dal Sesto libro de’madrigali a 5 voci.
La seconda parte del concerto era invece rivolta ad una serie di brani che andavano dai primi del Novecento ai giorni nostri, tratti dal repertorio di musicisti talora poco conosciuti, che si avvalevano dei testi di prestigiosi poeti.
Si cominciava dal lionese César Geoffray (1901-1972), fautore del rinnovamento del canto corale in Francia, il cui Larmes aveva come riferimento una lirica di Walt Whitman (“Tears”, da “Leaves of Grass”), tradotta da Raphaël Passaquet.
Di David Lang (1957) era invece proposto I lie, datato 2001, commissionato all’autore statunitense da un ensemble californiano specializzato nell’esecuzione di musiche dell’Est Europeo, per cui la fonte di ispirazione consisteva in un antico canto Yiddish.
Era poi la volta di György Ligeti (1923-2006) con Magány (Solitudine), pezzo risalente al 1946, quando il compositore ungherese studiava all’Accademia Franz Liszt di Budapest e quindi ancora sotto l’influenza dalle atmosfere bartokiane.
Il tedesco Paul Hindemith (1895 – 1963) attinse invece da “Vergers” (Frutteti) di Rainer Maria Rilke, per le sue Six chansons pour choeur mixte, create nel 1939, dalle quali era tratta Un cygne.
Di origini medievali risultava Yif ic of luv can del britannico Benjamin Britten (1913-1976), appartenente a Sacred and Profane, op. 91, mentre il transalpino Francis Poulenc (1899-1963) in À peine défigurée (dalle Sept Chansons, 1936), utilizzò un testo di Paul Éluard dalla raccolta La Vie immédiate.
Ancora letteratura britannica, prima con I love my love da Six Choral Folksongs, op.36, scritte nel 1916 da Gustav Holst (1874-1934), più noto come precursore delle colonne sonore di fantascienza, poi con Come Away, Death, da Four Shakespeare Songs, concepite nel 1984 dal finlandese Jaakko Mäntyjärvi (1963).
Ultimi due brani, Again (2005) di David Lang, il cui testo rappresenta una visione personale dell’autore relativa all’inizio del libro dell’Ecclesiaste e Carpe Diem del napoletano Patrizio Marrone (1961), uno dei più interessanti compositori della sua generazione.
Dalla sintetica descrizione del programma, si comprende la complessità di un concerto, nato per evidenziare che la ricerca di particolari sonorità può accomunare due compositori quali Desprez e Lang, sebbene fra loro vi sia una distanza di ben cinque secoli.
La differenza più evidente risulta legata all’organico in quanto, mentre i brani rinascimentali presupponevano intrecci sonori affidati a un ristretto gruppo di voci (con compiti gravosissimi per i singoli), quelli novecenteschi e contemporanei necessitano di un maggior numero di cantanti, per cui le difficoltà da superare, comunque elevate, appaiono suddivise più equamente.
Ma, a prescindere da tali ragionamenti, solo poche compagini possono permettersi il lusso di affrontare, nel modo migliore, entrambi i repertori, e fra esse rientra di diritto l’Ensemble Vocale di Napoli, diretto da Antonio Spagnolo.
La storica formazione partenopea, nata nel 1983, è ancora oggi un assoluto punto di riferimento artistico in ambito cittadino, oltre a costituire una delle più prestigiose realtà corali del nostro paese.
Chi ha assistito a questo suo recente concerto, ha potuto apprezzare ancora una volta sia la bravura dei solisti, sia il perfetto affiatamento dell’insieme, in tutti e due i casi capaci di sonorità raffinatissime e vertiginose, insite in un programma contraddistinto da enormi difficoltà.
Inoltre, la Sala del Toro Farnese, grazie anche alla presenza di un numerosissimo pubblico, ci ha restituito una nitidezza di suono mai ascoltata in tanti anni di manifestazioni svoltesi in una sede tanto prestigiosa quanto acusticamente penalizzante.
Non ci resta che concludere, ringraziando ancora l’Ensemble Vocale di Napoli ed il suo direttore Antonio Spagnolo per le emozioni che ci hanno trasmesso, sperando di poter riascoltare un gruppo che meriterebbe uno spazio ed una visibilità decisamente maggiori nel panorama artistico napoletano.
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