L’ensemble La Risonanza è stato il grande protagonista del secondo e ultimo appuntamento nato dalla collaborazione fra la Fondazione Pietà de’ Turchini e Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano, tenutosi nella sede museale napoletana di Intesa Sanpaolo e posto anche a conclusione del ciclo “Bach to Naples”.
La compagine, diretta al clavicembalo da Fabio Bonizzoni, e formata per l’occasione da Marco Brolli (flauto traverso), Carlo Lazzaroni, Claudia Combs e Ulrike Slowik (violini), Livia Baldi, Krishna Nagaraja, Emanuele Marcante (viole), Caterina Dell’Agnello (viola da gamba e violoncello), Noelia Reverte Reche (viola da gamba), Claudia Poz e Agnieszka Oszanca (violoncelli) e Nicola Dal Maso (contrabbasso), ha eseguito un programma interamente bachiano, che comprendeva tre dei sei Concerti Brandeburghesi (in ordine di esecuzione, il n. 5 in re maggiore BWV 1050, il n. 6 in si bemolle maggiore BWV 1051 e il n. 3 in sol maggiore BWV 1048) e la Suite n. 2 in si minore BWV 1065.
Relativamente ai Concerti Brandeburghesi (BWV 1046-1051), il loro titolo originario era Concerts avec plusieurs instruments e l’appellativo con il quale sono passati alla storia si deve al musicologo Philipp Spitta, che lo coniò nella sua monumentale biografia bachiana, pubblicata in due volumi fra il 1873 ed il 1880, prendendo come riferimento il dedicatario della raccolta, Christian Ludwig, margravio di Brandeburgo.
Come gran parte delle opere più significative di Bach, anche la storia di questa raccolta presenta numerosi lati oscuri.
Infatti, di sicuro vi è soltanto il nome del dedicatario, l’anno in cui fu completata, il 1721, quando Bach era al servizio del principe Leopoldo di Anhalt-Köthen, ed il fatto di essere fra i pochi manoscritti giunti ai nostri giorni (oggi gelosamente conservato nella Biblioteca di Stato di Berlino).
Il resto è affidato a varie congetture, legate innanzitutto allo scopo principale della creazione di una raccolta, ottenuta molto probabilmente assemblando più brani composti in precedenza, che offriva tutta una serie di possibili soluzioni in ambito concertistico, utilizzando i modelli in auge all’epoca (italiano, francese e tedesco), ai quali Bach aggiunse la sua particolare impronta.
Ciò si risolse in una notevole disomogeneità, sottolineata dalla presenza di organici che variavano in ogni concerto, talora con funzioni innovative, come nel n. 5 in re maggiore BWV 1050, che può essere considerato il primo brano dove il clavicembalo viene affrancato dalla sua funzione di accompagnamento, assurgendo a compiti solistici.
Altro interrogativo è relativo al fatto che Christian Ludwig difficilmente avrebbe potuto sfruttare quella musica, in quanto la sua orchestra non solo era piuttosto ridotta, ma non raggiungeva un livello tale da poter confrontarsi decentemente con questi brani.
In realtà, si sa poco anche sul gradimento che tali concerti, mai eseguiti a corte, riscossero da parte del margravio.
È comunque abbastanza certo che la loro importanza dovette essere piuttosto scarsa se, alla morte di Christian Ludwig, nell’inventario dei beni da destinare agli eredi, il manoscritto bachiano fu inserito in un gruppo comprendente altri 77 spartiti, con una valutazione complessiva abbastanza irrisoria.
Pure la Suite n. 2 risale al soggiorno bachiano a Köthen, pur se la versione più nota risulterebbe una trasposizione per flauto in si minore, concepita in seguito a Lipsia, dell’originale per violino in la minore.
Essa fa parte di un gruppo di quattro composizioni (BWV 1066-1069), definite anche Ouverture, poiché la successione dei vari movimenti era caratteristica delle ouverture che precedevano le opere francesi, anche se il succedersi delle danze era tipico della suite (e, a dire il vero, considerando la parte affidata al flauto, potrebbe anche rientrare nell’ambito dei concerti solistici).
Per quanto riguarda gli esecutori, i componenti dell’ensemble La Risonanza hanno dato vita ad un’interpretazione di altissimo livello, caratterizzata da grande nitidezza, affiatamento perfetto e raffinatissima ricerca dei particolari.
Un ulteriore cenno meritano il maestro Fabio Bonizzoni, che in qualità di clavicembalista ha affrontato in modo impeccabile la lunga cadenza del Concerto n. 5, e il flautista Marco Brolli, confrontatosi ottimamente con le vertiginose sonorità della Suite n. 2.
Sala gremita e spettatori giustamente entusiasti, che hanno a lungo applaudito i musicisti, chiedendo un bis e ricevendone addirittura due, a conclusione di una straordinaria serata di musica, che ha riportato a Napoli uno degli ensemble barocchi attualmente di maggior prestigio in ambito internazionale.
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