Una branca della musica classica contemporanea si basa sulla continua ricerca dell’ampliamento delle potenzialità di uno strumento.
Nel caso della chitarra, ad esempio, possono essere ottenute nuove sonorità, agendo sulle corde in zone della tastiera normalmente inutilizzate, oppure percuotendo il dorso dello strumento.
Questa breve premessa era indispensabile per accostarci al recital del chitarrista Ruben Maria Santorsa, recentemente ospite dei “Concerti di Primavera”, rassegna che si svolge nella chiesa Evangelica Luterana di Napoli, affidata alla direzione artistica di Luciana Renzetti.
Il programma proposto dal giovanissimo musicista si apriva con L’addio a Trachis II per arpa, scritto nel 1980 da Salvatore Sciarrino (1947), tradotto per chitarra (ovvero adattato alle sonorità dello strumento) da Maurizio Pisati.
Il successivo Andante n. 2 apparteneva ai Sei andanti, op. 320 di Ferdinando Carulli (1770-1841), napoletano che si trasferì nel 1808 a Parigi, durante un periodo nel quale la capitale francese era in pieno delirio chitarristico.
Ebbe enorme successo nel duplice ruolo di interprete e compositore, e pubblicò anche un metodo per lo studio dello strumento, tuttora di grande validità, catalogato come op. 27.
Andando ancora a ritroso nel tempo, era la volta del Preludio, Fuga e Allegro BWV 998 di Johann Sebastian Bach (1685-1750), risalente agli anni trascorsi a Lipsia e destinato forse al “liutocembalo”, una sorta di liuto a tastiera, abbastanza diffuso nel periodo barocco, oggi completamente scomparso,
Un nuovo sguardo sul contemporaneo con gli Studi nn. 1, 2, 5, 6 del milanese Maurizio Pisati (1959), dai Sette studi per chitarra, completati nel 1990, anno in cui sono stati anche eseguiti in “prima” mondiale a Darmstadt.
Abbiamo poi ascoltato gli Studi n. 7 in mi maggiore e n. 11 in mi minore, tratti dai 12 Studi del brasiliano Heitor Villa-Lobos (1887-1959), la cui stesura definitiva risale al 1948-1953, che hanno preceduto il ritorno al contemporaneo con “Calmo, dolcissimo, lontano” dell’ungherese György Kurtág (1926).
Il recital si è chiuso nel segno di Maurizio Pisati, prima con due dei cinque “Caprichos de simios y burros” su quadri di Goya (n. 1 “Brabisimo!” e n. 4 “Asta su abuelo”) e poi con una traduzione della Sonata in re minore K. 141 di Domenico Scarlatti.
Per quanto riguarda Ruben Mattia Santorsa, ha dimostrato di possedere non solo una grandissima tecnica, indispensabile per affrontare il repertorio eseguito, ma anche, nei brani più classici, una notevole sensibilità.
Pubblico non molto numeroso, come era facile prevedere, considerando un programma quanto mai particolare ed ostico.
Va detto, però, che le defezioni lungo la serata sono state esigue, segno che chi è venuto lo ha fatto con cognizione di causa, ed è stato ripagato dalla bravura del protagonista.
In conclusione una serata sicuramente interessante, illuminata da un interprete giovanissimo e talentuoso, al quale auguriamo di proseguire la sua prestigiosa carriera, superando sempre brillantemente le difficoltà con le quali si dovrà confrontare giornalmente, sia di natura tecnica, sia legate alle comprensibili perplessità da parte del pubblico.
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Da ex chitarrista classico, a me pare che spesso la scrittura degli autori contemporanei per lo strumento riveli conoscenza tecnica approssimativa dello strumento, limitandosi così a glissati, arpeggi più o meno “a vuoto”, corde grattate e via dicendo. Questo senza nulla togliere alla discreta tecnica dallo strumentista protagonista della serata, e all’interessante scaletta proposta.
E’ un campo che conosco poco, ma suppongo che Lei abbia ragione
Ciò detto, colgo l’occasione data dalla sua risposta per ringraziarla per il prezioso, direi indispensabile, lavoro da Lei svolto con il suo blog.
La ringrazio anch’io per la stima