L’atteso ritorno dei “Concerti in Floridiana”, organizzati dall’Associazione Golfo Mistico, ha avuto come protagonista il Classico Terzetto Italiano, formato da Ubaldo Rosso (flauto), Carlo De Martini (violino e viola) e Francesco Biraghi (chitarra).
In programma brani ed autori, oggi quasi del tutto sconosciuti, che raggiunsero una discreta fama nei salotti musicali della borghesia, in un arco di tempo compreso fra gli albori e la prima metà dell’Ottocento, noto artisticamente anche come “periodo Biedermeier”.
La mattinata ha avuto inizio con l’austriaco Joseph Weigl (1766-1846), compositore e direttore d’orchestra, che studiò a Vienna con Albrechtsberger e Salieri, attualmente ricordato per l’opera “Die Schweizer Familie” (La Famiglia Svizzera), datata 1809.
Da essa era tratta l’Ouverture, nella trascrizione per flauto, violino e chitarra del tedesco Johann Heinrich Carl Bornhardt (1774-1843).
Il successivo Trio op. 19 n. 3 di Francesco Molino (1768–1847) portava alla ribalta un autore e strumentista poliedrico, nato ad Ivrea, che a Torino ricoprì numerosi ruoli (oboista nella banda del Reggimento Piemontese, violista nell’orchestra del Teatro Regio e violinista nella Cappella Reale).
Ma la sua carriera ebbe una svolta quando si spostò a Parigi nel 1820, per dedicarsi interamente alla chitarra.
In quel momento, nella capitale francese, lo strumento stava conoscendo un vero e proprio boom, ed i “Salons”, luoghi dove si incontravano borghesia e aristocrazia, erano frequentati da strumentisti impegnati a mettere in mostra tutto il loro virtuosismo. L’arrivo di Molino, grazie anche alla pubblicazione di alcuni manuali di tecnica esecutiva, portò un soffio innovativo in campo chitarristico, al punto che si formò un gruppo di sostenitori, definiti “molinisti”, in contrapposizione con i cosiddetti “carullisti”, fautori del tradizionalismo, così chiamati in quanto riuniti intorno alla figura di Ferdinando Carulli (1770–1841).
Una situazione ben focalizzata dal parigino Charles de Marescot, anch’egli chitarrista e compositore non eccelso, in una sua litografia piuttosto famosa, dal titolo “Discussion entre les Carulistes et les Moulinistes”, contenuta nella raccolta “La Guitaromanie” (1825), raffigurante le due fazioni che si combattono a colpi di chitarra.
Riguardo a Carulli, del quale il trio ha proposto il Divertissement op. 149 n. 2 in mi minore, era nato a Napoli ed approdò in Francia intorno al 1808, dove portò avanti una carriera prestigiosa e pubblicò un “Metodo completo per chitarra”, contrassegnato come op. 27, che conobbe una diffusione straordinaria e venne pubblicato da ben quattro case editrici.
Il concerto proseguiva con la lunga e affascinante Serenade op. 2 del tedesco Joseph Küffner (1776-1856), polistrumentista eclettico, che agli esordi suonò come violinista nell’Orchestra di Corte di Würzburg, per poi essere nominato direttore della banda dell’Armata Bavarese, ma è noto in particolare per l’apporto fornito al repertorio chitarristico.
Chiusura ancora nel nome di Carulli, con una trascrizione cameristica dell’Ouverture dell’opera rossiniana “La gazza ladra”, inserita in una raccolta data alle stampe a Parigi nel 1825 dal concittadino Raffaele Carli, contenente dodici ouverture di Rossini, che si inquadrava nell’ambito di un filone molto diffuso nell’Ottocento, il cui scopo era di far riascoltare nei salotti i motivi più in voga del momento.
Relativamente ai tre interpreti, Ubaldo Rosso (flauto), Carlo De Martini (violino e viola) e Francesco Biraghi (chitarra), hanno evidenziato una elevata bravura, tenendo anche presente che suonavano su strumenti d’epoca, una raffinata ricerca dei particolari ed un perfetto affiatamento.
Vanno ancora ricordati gli aneddoti e i brevi interventi illustrativi di Biraghi, leader e portavoce dell’ensemble, che hanno ulteriormente appassionato il pubblico presente, apparso alla fine visibilmente soddisfatto.
Come bis, il Classico Terzetto Italiano ha scelto un altro pezzo di raro ascolto, il Notturno op. 21 per flauto, violino e chitarra del ceco Wenzel Thomas Matiegka (1773-1830), trascritto da Schubert per quartetto, aggiungendo la parte del violoncello.
In conclusione una mattinata interessante e piacevole, che ha inaugurato nel migliore dei modi una rassegna, spostatasi quest’anno dall’Auditorium ipogeo alla “Gran Galleria” del Museo Duca di Martina, con conseguente diminuzione della capienza, positivamente controbilanciata da un’acustica degna di questo nome e dalla bellezza della sede del concerto.
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