Giunto alla ventiduesima edizione, il Concerto di Capodanno della Nuova Orchestra Scarlatti si è svolto, come consuetudine, al Teatro Mediterraneo della Mostra d’Oltremare di Napoli.
Dopo una brevissima presentazione del maestro Gaetano Russo, suo direttore artistico, la compagine partenopea, rinforzata da alcuni elementi delle due orchestre giovanili che fanno capo alla “Scarlatti”, ottimamente diretta dalla ventiseienne lucchese Beatrice Venezi, ha aperto la serata con la Sinfonia da “Elisabetta, regina d’Inghilterra”, opera di Gioachino Rossini che esordì a Napoli nel 1815 con la Colbran nei panni della sovrana britannica.
La successiva Pizzicato Polka di Johann Strauss figlio e del fratello Josef, la cui “prima” ebbe luogo nel 1869 a San Pietroburgo, rappresentava un classico del Concerto di Capodanno viennese.
Era quindi la volta della Danza spagnola per violino ed orchestra, tratta da “La vida breve” di Manuel de Falla, che portava alla ribalta il giovanissimo solista diciannovenne Gennaro Cardaropoli.
Toccava quindi a due fra le più celebri Danze ungheresi di Johannes Brahms, la n. 5 in sol minore e la n. 6 in re maggiore, nella versione orchestrale concepita da Martin Schmeling, dall’originale per pianoforte a quattro mani.
La prima parte si chiudeva con la Fantasia sui temi della Carmen di G. Bizet, op.25 per violino e orchestra di Pablo de Sarasate, che rientrava in un filone, diffuso in particolare nell’Ottocento, rivolto alle trascrizioni di noti motivi operistici, che avevano lo scopo di far conoscere tali pezzi a chi era impossibilitato a frequentare i teatri lirici oppure a chi voleva risentirli in chiave salottiera (in tal caso esistevano adattamenti per violino e pianoforte) e dare l’opportunità, ai grandi solisti, di mettere in mostra le loro doti virtuosistiche.
Dopo l’intervallo il concerto è ripreso con una finestra dedicata a George Gershwin, con la Rhapsody in Blue, nell’arrangiamento per sola orchestra dello statunitense Jerry Brubaker, ed una versione strumentale della celeberrima Summertime (dall’opera “Porgy and Bess”), curata da Federico Odling.
A quest’ultimo si deve anche l’orchestrazione dalla successiva ‘A canzone ‘e Pearl Harbor, una vera rarità, nata in seno alla comunità italoamericana di New York, riscoperta dalla musicologa napoletana Simona Frasca, che faceva virare il concerto verso i motivi della tradizione partenopea, prima grazie a Tu vuo’ fa’ l’americano di Renato Carosone e poi con ‘O cunto d’ ‘O surdato Funiculì, suggestiva fusione, sempre di Odling, fra due delle più celebri canzoni del repertorio classico (‘O surdato ‘nnammurato e Funiculì, funiculà).
I tre brani conclusivi, Persischer Marsch op. 289, Annen Polka op. 117 e Unter Donner und Blitz, Polka schnell op. 324, tratti dalla sterminata produzione di Johann Strauss figlio, ci riportavano a Vienna.
Nel complesso un programma più strettamente classico, nella prima parte, e maggiormente ricco di intriganti contaminazioni nella seconda, che ha dato l’opportunità alla Nuova Orchestra Scarlatti di evidenziare una notevole compattezza, un ottimo equilibrio in ogni sua sezione e un’estrema versatilità.
A ciò va aggiunto il piacere di aver potuto apprezzare nuovamente Beatrice Venezi, da poco nominata Assistant Conductor dell’Orchestra di Stato armena, direttore dal gesto preciso, deciso ed avvolgente, capace di infiammare i numerosissimi spettatori presenti.
Non va dimenticato lo splendido apporto, nei pezzi di de Falla e Sarasate, di Gennaro Cardaropoli, anch’egli con una carriera notevole alle spalle, nonostante abbia appena diciannove anni, vincitore nel 2015 del Premio Abbado quale migliore giovane violinista dell’anno, e proveniente da una famiglia di grandi tradizioni artistiche (sua sorella minore Raffaella, ad esempio, è una violoncellista di estremo talento).
Merita una menzione particolare anche il clarinettista Luca Cipriano, classe 1982, che fa parte dell’organico della Nuova Orchestra Scarlatti, formidabile solista della Rapsodia di Gershwin e del medley dedicato alla canzone napoletana.
Ricordiamo, infine, la coda del concerto, consistente in ben tre bis, la Feuerfest Polka op. 269 di Josef Strauss, dove l’organico strumentale prevedeva anche due martelli ed un’incudine, pretesto per una piacevole gag inscenata da alcuni orchestrali, un breve ritorno a Tu vuo’ fa’ l’americano e la celeberrima Radetzky Marsch, op. 228 di Johann Strauss padre, accompagnata dal battere ritmato delle mani degli spettatori, degna chiusura di ogni Concerto di Capodanno che si rispetti.
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