Pina Cipriani: Rosa, preta e stella

Pina Cipriani-Rosa, Preta e StellaIl concerto della nota cantante e attrice Pina Cipriani “Napolinscena”, dedicato alla canzone classica napoletana, è stato fra gli appuntamenti di maggiore interesse nell’ambito della recente stagione di Convivio Armonico di Area Arte, tenutasi al Museum Shop.
Lo spettacolo era la riproposizione di “Rosa, preta e stella”, che ebbe notevole successo negli anni ’90 al Teatro Sancarluccio, tanto da diventare anche oggetto di un cd inciso dalla C. P. S.
Il disco, che proponeva brani del repertorio partenopeo, arrangiati in prevalenza per quartetto d’archi e voce dal compianto Raimondo Di Sandro, ai quali si aggiungevano i contributi di Franco Nico e di Daniele Sepe, è stato recentemente ristampato da Area Arte.
Si tratta di un excursus cronologico, che si apre con il Canto delle lavandaie del Vomero (1200 ca.), opera di anonimo e canto di protesta, utilizzato in varie occasioni contro il dominatore di turno, che rappresenta uno dei documenti più antichi della lingua napoletana.
Con la successiva Fenesta vascia, anch’essa di anonimo, passiamo al Cinquecento, pur se il brano raggiunse la notorietà ai primi dell’Ottocento, quando venne trascritto da Guglielmo Cottrau, che coinvolse il poeta Giulio Genoino per l’attualizzazione del testo.
Ma la canzone napoletana ha attirato anche grandi compositori e uno degli esempi maggiormente rappresentativi è costituito dalla Canzone marenara, nota anche con il titolo di “Me voglio fa’ ‘na casa”, scritta da Gaetano Donizetti nel 1835.
Quarto brano in programma, Era de maggio (1885), frutto dell’incontro fra Salvatore Di Giacomo ed il compositore Mario Pasquale Costa, autore anche della successiva ‘A frangesa (1893), dedicata ad Armand’Ary (nome d’arte di Marthe Armandary), soubrette francese proveniente dalle Folies Bergère, che esordì a Napoli nel 1894 al teatro “Il circo del Varietà”, conseguendo un successo enorme ma di breve durata.
Non ha bisogno di presentazione ‘O sole mio, musicata da Edoardo Di Capua durante il suo soggiorno ad Odessa, dove era giunto insieme al padre, violinista ingaggiato da una compagine locale.
Di Capua si avvalse del testo di Giovanni Capurro, responsabile della pagina culturale del quotidiano “Il Roma”, e la canzone partecipò, nel 1898, ad un concorso indetto dalla casa editrice Bideri, arrivando soltanto seconda dietro a Napule bello (oggi praticamente sconosciuta).
Una volta pubblicata, riscosse però un successo strepitoso, durato fino ai nostri giorni.
Va ricordato, inoltre, che ‘O sole mio non è ancora di pubblico dominio, nonostante sia stata scritta più di un secolo fa.
Infatti, nel 2002 è stato stabilito che il compositore e mandolinista Alfredo Mazzucchi, morto nel 1972, partecipò alla stesura del brano, per cui gli eredi e la Bideri continueranno, in base alla legge odierna, a godere dei relativi diritti d’autore fino al 2042.
Il disco prosegue con due brani di grande notorietà, ‘O surdato ‘nnammurato e Santa Lucia luntana, creati a distanza di pochi anni l’uno dall’altro, che si riferiscono ad argomenti di grande attualità per l’epoca.
Il primo, di Aniello Califano ed Enrico Cannio, scritto nel 1915, descrive la tristezza e la nostalgia, per il distacco dall’amata, di un ragazzo del Sud inviato al fronte, mentre il secondo è una struggente dedica ai numerosi emigranti che partivano dal porto di Napoli, alla volta di terre lontane, avendo come ultimo panorama il borgo di Santa Lucia.
Tocca quindi a Passione, nata dall’incontro fra il poeta Libero Bovio e i musicisti Ernesto Tagliaferri e Nicola Valente.
Il celeberrimo motivo, che esordì con grande successo al Teatro Bellini nel 1934, interpretato da Vittorio Parisi, precede nel cd Tammurriata nera e Munasterio ‘e Santa Chiara, canzoni relative ad episodi accaduti durante il secondo conflitto mondiale.
Infatti, il testo di Tammurriata nera, risalente al 1944, si deve a Edoardo Nicolardi (che affidò la musica a E. A. Mario), colpito dalla notizia che, all’ospedale Loreto Mare, dove il poeta ricopriva il ruolo di dirigente amministrativo, una giovane donna napoletana aveva dato alla luce un bimbo di colore.
Munasterio ‘e Santa Chiara fa invece riferimento al bombardamento che nel 1943 rase quasi completamente al suolo la basilica partenopea.
Presentata durante la Piedigrotta del 1945 e poi inserita nella rivista “Imputato, alziamoci!” di Michele Galdieri (autore delle parole, mentre la musica era di Alberto Barberis), la canzone venne portata al successo dall’allora ventiduenne Giacomo Rondinella.
La parte conclusiva del cd rivolge il suo sguardo alla seconda metà del Novecento, iniziando da Luna rossa, di Vincenzo De Crescenzo e Antonio Vian (pseudonimo di Antonio Viscione), proposta alla Piedigrotta del 1950 nell’interpretazione di Giorgio Consolini.
Il brano ha poi conosciuto una notorietà mondiale, con versioni in 40 differenti lingue, a cominciare da quella inglese, intitolata “Blushing Moon”, divenuta uno dei cavalli di battaglia di Frank Sinatra.
Del 1976 è invece Carmela, scritta da Salvatore Palomba e musicata da Sergio Bruni, sotto il cui nome si cela la città di Napoli, definita “Rosa, preta e stella” (appellativi usati per dare il titolo anche all’intera incisione).
Pezzo molto significativo, viene da taluni considerato “lo spartiacque fra la vecchia e la nuova canzone napoletana, cioè allo stesso tempo l’ultima canzone tradizionale e la prima moderna”.
Sicuramente ascrivibili alla canzone moderna i due motivi con i quali si chiude l’incisione, ‘E criature di Enzo Gragnaniello, e Canzone nova di Pino Daniele, tratti rispettivamente dagli album Trinità degli Spagnoli (1985) e Schizzechea with Love (1988).
Da quanto finora esposto, si evince come il cd contenga tutta una serie di brani che hanno contribuito ad alimentare la fama della canzone napoletana nel mondo, affidati alla voce di Pina Cipriani, accompagnata da un quartetto d’archi formato da Michele Signore (violino I), Egidio Mastrominico (violino II), Vezio Iorio (viola) e Drummond Petrie (violoncello).
Al quintetto di base si aggiungono diversi strumentisti (fra i quali figurano anche Raimondo Di Sandro e Daniele Sepe), che si alternano, fornendo il loro prezioso contributo.
Il risultato complessivo è di elevatissimo spessore, sia per la qualità degli esecutori, sia per il valore e l’originalità degli arrangiamenti, ancora di sconcertante attualità a distanza di un quarto di secolo.
Infatti, le versioni proposte, pur allontanandosi in parte dalla tradizione, tendono a non snaturarla, cercando nel contempo di evidenziarne i lati più reconditi, solitamente figli di una malinconia e di una tragicità, che la maggior parte degli interpreti solitamente ignora, per evitare di sottoporre al pubblico spunti poco rassicuranti.
Alcuni arrangiamenti risultano indubbiamente di una forza dirompente, come quello relativo a ‘O surdato ‘nnammurato, dove viene recuperata tutta la devastazione della prima guerra mondiale, trasformando il brano in una ballata che ci ricorda il binomio Brecht-Weill, o in Tammurriata nera, troppo spesso oggetto di volgarità e sguaiataggini gratuite, riportata alla sua originaria drammaticità.
E di esempi ce ne sarebbero molti altri, ma non ci dilunghiamo ulteriormente perché vogliamo concludere con un’osservazione, legata proprio allo spirito innovativo.
In effetti, “Rosa, Preta e Stella” contiene proposte d’avanguardia, che meritavano di essere accolte, seguite ed eventualmente perfezionate.
Invece, quello che doveva essere il punto di partenza di un filone molto raffinato e promettente, è paradossalmente diventata una testimonianza inarrivabile ed insuperata, a causa della mancanza di sviluppo del genere, dovuta allo scarso coraggio di tutti gli altri operatori del settore.
Ciò ha favorito il moltiplicarsi di interpreti improbabili, che si sono progressivamente allontanati dalla vera essenza della canzone napoletana, con conseguenze ancora oggi percepibili, in quanto la scarsa qualità d’esecuzione ha finito con il ripercuotersi negativamente anche sulla sensibilità del pubblico degli appassionati.
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