Dopo il giovane e promettentissimo Quartetto Mucha, l’Associazione Alessandro Scarlatti, ha ospitato il Quartetto di Venezia, ensemble dall’esperienza più che trentennale, formato da Andrea Vio e Alberto Battiston (violini), Giancarlo Di Vacri (viola) e Angelo Zanin (violoncello).
Interamente rivolto al repertorio italiano il programma, la cui successione originaria è stata variata per rendere omaggio alle vittime degli attentati francesi.
Così, preceduta da un minuto di raccoglimento, è stata eseguita l’elegia per quartetto d’archi “Crisantemi”, scritta nel 1890 da Giacomo Puccini (1858-1924) in memoria di Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, i cui due temi sarebbero poi stati inseriti nella Manon Lescaut.
A seguire abbiamo ascoltato il Quartetto in sol maggiore op. 52 n. 3 di Luigi Boccherini (1743–1805), appartenente ad una raccolta, completata nel 1795 e pubblicata tre anni dopo dall’editore Pleyel, che aveva come dedicatario il re di Prussia Federico Guglielmo II, appassionato di musica e discreto violoncellista.
Un salto di 160 anni ci portava al Quartetto in due tempi di Bruno Maderna (1920-1973), caratterizzato da uno stile dodecafonico, con una struttura che, nel secondo tempo, riproduce a specchio il primo.
La seconda parte del concerto era invece incentrata sul Quartetto in mi minore di Giuseppe Verdi (1813-1901), il cui manoscritto risulta l’unico spartito originale del grande compositore presente nella prestigiosa Biblioteca del Conservatorio napoletano di S. Pietro a Majella.
Il brano venne scritto nel 1873 proprio a Napoli, dove l’autore era giunto per presenziare all’allestimento dell’Aida.
Poiché un improvviso malessere del soprano Teresa Stolz aveva fatto slittare la “prima” dell’opera, il musicista, avendo del tempo a disposizione, diede vita a questa sua unica incursione nel genere cameristico.
L’esordio ebbe luogo nell’albergo Crocella, davanti ad un gruppo sparuto di amici intimi, affidato ad un organico costituito dai fratelli Pinto (violinisti), Salvadore alla viola e Giarritiello al violoncello.
Verdi, alla fine dell’esecuzione, si ritenne molto orgoglioso per questa sua nuova creatura, al punto che esclamò: “Bello o brutto che sia, questo è comunque un vero quartetto!”.
Il brano ebbe subito un discreto successo al di fuori dell’Italia, mentre nel nostro paese fu abbastanza osteggiato, a causa di vari motivi, non ultimo il pessimo rapporto intercorrente fra Verdi e le varie società dedite alla diffusione di musica cameristica, che consideravano il genere lirico come una sorta di sottoprodotto artistico.
E veniamo agli interpreti che, come abbiamo accennato all’inizio, rappresentano un ensemble rodatissimo e ricco di esperienza.
Confrontatosi con un programma che spaziava da Boccherini a Maderna, il Quartetto di Venezia ha evidenziato straordinaria versatilità, suono nitido ed elevatissimo virtuosismo dei singoli componenti, non solo nell’ostico pezzo di Maderna (appartenente ad un periodo durante il quale, come ebbe a dire ironicamente un noto pianista, si componeva “contro il pubblico”), ma anche nel brano verdiano, che abbinava tratti tipicamente operistici a passaggi dissonanti.
Il tutto racchiuso da un affiatamento perfetto, frutto di una consuetudine più che trentennale (se si eccettua il violista Giancarlo Di Vacri, che ha raggiunto l’ensemble soltanto nel 2010).
Pubblico abbastanza numeroso, discretamente a disagio con Maderna e un po’ spiazzato da un Verdi poco noto, che ha applaudito a lungo i protagonisti, riconoscendone l’assoluto valore e chiedendo un bis, prontamente accordato, rivolto alla produzione di Shostakovich, con il quale si è ottimamente concluso uno splendido concerto.
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