Un bellissimo “Flauto magico” in versione “spaghetti western” guastato dal solito gruppetto di spettatori “selvaggi”

Foto Max Cerrito

Foto Max Cerrito

Singspiel in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) “Il flauto magico” fu commissionato al genio di Salisburgo nel 1791 da Emanuel Schikaneder, attore, cantante e gestore del piccolo teatro “Auf der Wieden”, che collaborò anche alla stesura del libretto.
Scopo di partenza era quello di creare un’opera fiabesca e spettacolare, che conquistasse i favori del pubblico, vincendo così la forte concorrenza degli altri teatri viennesi.
Inoltre, Schikaneder voleva propagare gli ideali della Massoneria, alla quale appartenevano sia lui che Mozart, che in quel periodo risultava fortemente avversata dal potere austriaco.
Per tale motivo “Il flauto magico” ha conosciuto una quantità infinita di approfondimenti, volti ad avallare, in alcuni casi piuttosto goffamente, la costante presenza di simboli massonici lungo l’intera opera, a cominciare dalla ripetizione quasi ossessiva del numero tre, identificato con la perfezione assoluta.
L’intera vicenda è poi considerata, da molti, non una semplice favola, ma un vero e proprio cammino di iniziazione, dove i personaggi positivi e negativi sarebbero stati ispirati a figure dell’epoca.
Così, ad esempio, la perfida “Regina della notte” rappresenterebbe Maria Teresa d’Austria, contraria alla Massoneria, nonostante vi appartenessero sia il marito che il figlio, mentre c’è chi ha visto in “Sarastro” lo scienziato Ignaz von Born, capo della più potente Loggia viennese, morto un paio di mesi prima dell’esordio del lavoro.
Ma, a prescindere da congetture più o meno vicine alla realtà, “Il flauto magico” è caratterizzato da una musica stupenda e molto complessa, dove l’abilità mozartiana riesce a fondere tutta una serie di generi quali, tanto per citarne qualcuno, l’opera buffa italiana, le “Passioni” bachiane e i corali luterani.

Orchestra del Teatro dell' Opera di Brasov - Foto Max Cerrito

Orchestra del Teatro dell’ Opera di Braşov – Foto Max Cerrito

Il singspiel mozartiano è stato recentemente proposto a Napoli, nella Sacrestia del Vasari, situata all’interno della chiesa napoletana di S. Anna de’ Lombardi, nell’ambito della ventesima edizione dell’Amalfi Coast Music & Arts Festival, manifestazione organizzata dal Center of Musical Studies di Washington, in collaborazione con l’Accademia Jacopo Napoli di Salerno e Artis International.
Protagonisti dell’allestimento, gli allievi dell’ACMAF Vocal Program, accompagnati dall’Orchestra del Teatro dell’Opera di Braşov, sotto la direzione di Jeffrey Rink.
La regia era invece di Carol Wilson, che ha dato all’opera i connotati di un western (o meglio ancora di uno spaghetti western, visto che siamo in Italia), dividendo i buoni, protetti dallo sceriffo Sarastro, dai cattivi, rappresentati ovviamente dalla regina della Notte con i suoi accoliti.
Un modo, questo, per limitare al minimo indispensabile le implicazioni massoniche, lasciando spazio ad una avventura a lieto fine, con risvolti dinamici, divertenti e sicuramente più originali rispetto, tanto per dirne una, all’orrenda messa in scena dell’opera al Festival di Salisburgo del 2012.
Ma, qualsiasi discorso al proposito lascia il tempo che trova, se gli interpreti non sono all’altezza e, da questo punto di vista, il cast dei solisti dell’Amalfi Coast Music & Arts Festival Vocal Program ha evidenziato un livello complessivo molto elevato, abbinato ad un’ottima presenza scenica, a cominciare dai cantanti impegnati nei ruoli principali, il tutto condito dal contagioso entusiasmo dei giovani partecipanti.
Per quanto riguarda i personaggi femminili, Christine Lyons si è dimostrata una Pamina straordinaria, caratterizzata da una bellissima voce, ricca di sfumature, e Jessica Ng ha dato vita ad una Regina della notte di notevole caratura.
Passando ai personaggi maschili, John Chong Yoon Noh ha confermato quanto di buono aveva fatto vedere e sentire lo scorso anno (quando aveva impersonato Rinuccio nell’allestimento del “Gianni Schicchi” pucciniano, sempre nell’ambito dell’Amalfi Coast Music & Arts Festival), disegnando un Pamino molto convincente, così come Daniel Hogan è risultato un perfetto Papageno (che utilizzava un passaverdure al posto del magico carillon), mentre semplicemente strepitoso è apparso il Sarastro di Peter Becker, guest star della serata.
Ad essi vanno aggiunti tutti gli altri artisti che hanno fornito il loro contributo alla buona riuscita dell’allestimento, Lauren Hussey (Papagena), Vinnie Mahal (Monostatos), Anna Cristofaro (Prima dama), Maya Jones (Seconda dama), Molly Clementz (Terza dama), Bailey Jo Hutton (Primo genietto), Wendy Kent (Secondo genietto), Julia Di Fiore (Terzo genietto), Joe Whitenton (Primo sacerdote), Baird Gehring (Secondo sacerdote e Secondo uomo armato) e Christopher Oglesby (Primo uomo armato), alcuni dei quali impegnati anche nei rari interventi affidati al coro.
Una grande nota di merito va anche all’Orchestra del Teatro dell’Opera di Braşov, compagine compatta e affiatata, ben diretta da Jeffrey Rink, che ha mostrato un’ ottima sintonia con i cantanti, ed infine va ricordato l’attore Ottavio Costa, una costante e gradita presenza, da diversi anni a questa parte , il cui compito era quello di descrivere in anticipo i momenti salienti della vicenda, in modo da facilitare la comprensione degli spettatori.
Successo finale strepitoso e meritato, con pubblico visibilmente soddisfatto ed entusiasta.
E’ un vero peccato, quindi, che una serata di così elevato valore artistico, sia stata rovinata (e non è la prima volta, né sarà l’ultima), dai soliti maleducati, che sono pienamente entrati nello spirito western dell’opera, da ricoprire magistralmente il ruolo dei “selvaggi”, a scapito dei numerosi e composti spettatori stranieri presenti.
Possiamo dire di aver assistito, in un sol colpo, a tutto il peggior repertorio possibile, dagli scartocciamenti di caramelle durante la celeberrima Der Hölle Rache (l’aria della Regina della Notte), a commenti ad alta voce quanto mai inappropriati (del tipo: “se sono americani, perché cantano in tedesco?”), passando per continue interferenze con i movimenti scenici da parte di chi era giunto in ritardo, voleva cambiare improvvisamente posto, oppure desiderava godersi meglio lo spettacolo, per cui ha pensato bene di spostare la sedia restringendo il corridoio di passaggio degli artisti.
Abbiamo inoltre notato un posto occupato esclusivamente da una giacca, rimasto vuoto durante l’intera rappresentazione, in quanto il suo possessore si era tranquillamente accomodato qualche fila più avanti, ed infine, complice il caldo, i ventagli utilizzati a mo’ di clava non si contavano e qualcuno ha pensato bene anche di togliersi le scarpe.
In conclusione, rinnoviamo i nostri ringraziamenti all’organizzazione dell’ Amalfi Coast Music & Arts Festival per aver portato a Napoli una versione quanto mai piacevole del “Flauto magico”, che rimarrà impressa a lungo per i risvolti che hanno contraddistinto l’allestimento, sia positivi, legati all’intero cast vocale e strumentale, sia negativi, dovuti a frange del pubblico, abbastanza ristrette ma fastidiosissime.
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