Il Quartetto d’Archi del Teatro di San Carlo, formato da Cecilia Laca e Luigi Buonomo (violini), Antonio Bossone (viola) e Luca Signorini (violoncello) è stato il protagonista del recente appuntamento della rassegna “Maggio della Musica”, tenutosi nella veranda neoclassica di Villa Pignatelli.
Il concerto ha avuto inizio con Langsamer Satz für Streichquartett, lavoro di Anton Webern (1883-1945) risalente al 1905 e quindi opera giovanile, dove il compositore viennese risulta legato alla tonalità e ancora lontano dal dodecafonismo abbracciato a partire dal 1925.
Il successivo Quartetto n. 8 in do minore, op. 110, venne scritto da Dmitrij Shostakovich (1906-1975) dal 12 al 14 luglio 1960, mentre si trovava a Dresda dove cercava l’ispirazione per la colonna sonora di un film, rievocativo del bombardamento anglo-americano che aveva completamente distrutto la città tedesca nel febbraio 1945.
Sebbene accompagnato da una dedica “alle vittime del fascismo e della guerra”, il quartetto, come avrebbe più tardi confessato il musicista russo, rappresentava una vera e propria autocelebrazione, in quanto i cinque movimenti che lo compongono sono basati su un tema di quattro note, “re”, “mi bemolle”, “do”, “si” che, nella nomenclatura tedesca, corrispondono a “D”, “Es”, “C”, “H”, ovvero le iniziali di Shostakovich.
Terzo ed ultimo brano in programma, il Quartetto in fa maggiore di Maurice Ravel (1875-1937), risalente al 1903, unico apporto al genere da parte del grande musicista francese, che volle dedicare la composizione al suo maestro Gabriel Fauré.
Il lavoro ebbe poca fortuna in quanto Fauré non lo comprese e, l’anno dopo, fu bocciato sia dalla Giuria del Prix de Rome che dal Conservatorio di Parigi.
La stampa specializzata, all’indomani della “prima” affidata al Quartetto Heyman, fornì giudizi in prevalenza poco lusinghieri, e solo Debussy, la cui influenza lungo l’intero quartetto risulta abbastanza evidente, mostrò grandi apprezzamenti, consigliando un Ravel incerto e contrariato per i numerosi riscontri negativi, di non apportare alcuna modifica, salvando il quartetto da cambiamenti forzati.
Confrontatosi con questi brani, il Quartetto d’Archi del Teatro di San Carlo ha fornito una ottima prova, evidenziando buon affiatamento e bravura dei singoli, con la viola che talora si ergeva su tutti gli altri strumenti, grazie ad un suono particolarmente corposo.
Grande successo di pubblico e bis caratterizzato da un ulteriore assaggio del quartetto di Ravel, a chiusura di un concerto di alto livello, che ci ha accompagnato attraverso alcune composizioni indicative della complessa musicalità del Novecento.
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