Nato in Germania nel 1786 da una famiglia dalle consolidate tradizioni musicali (il nonno era oboista ed il padre suonava diversi strumenti a fiato in una banda militare), Friedrich Kuhlau apprese a dieci anni i primi rudimenti del flauto e del pianoforte.
Una lunga degenza, causata da un grave incidente che gli fece perdere un occhio, lo avvicinò ancor più alla musica e, ben presto, iniziò anche a scrivere una serie di brani, sottoposti con alterne fortune alle case editrici del settore.
Nel 1806 era ad Amburgo, dove conobbe Christian Schwencke (ex allievo di Carl Philipp Emanuel Bach), che si rese subito conto del suo talento e gli impartì una serie di lezioni, grazie alle quali Kuhlau, da semplice autodidatta si trasformò in solido compositore.
Nello stesso anno le truppe francesi invasero la città tedesca e il musicista dovette fuggire in Danimarca per evitare di essere arruolato nell’esercito napoleonico.
Da questo momento cominciò la sua carriera vera e propria, che si svolse esclusivamente in terra danese, dove ricevette consensi ed onori sempre crescenti, sia come pianista, sia in qualità di docente.
Kuhlau morì a Copenhagen nel 1832, dove si era trasferito l’anno prima, per l’acuirsi di problemi reumatici dei quali soffriva da tempo.
La sua vasta produzione, in generale abbastanza sconosciuta al grande pubblico, abbraccia quasi tutti i generi, ma rivolge uno sguardo particolare alle composizioni per flauto, al punto che l’autore è passato alla storia con l’appellativo di “Beethoven del flauto”.
A questo repertorio si è rivolta la casa discografica Brilliant (distribuita in Italia dalla Ducale Music), che di Kuhlau ha recentemente inciso i Quintetti per flauto, violino, due viole e violoncello, op. 51 (n. 1 in re, n. 2 in mi e n. 3 in la).
Vicini alla musicalità di Beethoven, che Kuhlau stimava ed ebbe modo di conoscere a Vienna nel 1825, i tre quintetti affidano al flauto il ruolo che compete usualmente al primo violino, sostituito da un’ulteriore viola nel quartetto d’archi, per cui l’insieme dà vita a sonorità particolari e di grande piacevolezza.
Peculiarità che emergono pienamente dalla registrazione, affidata ad un prestigioso organico, formato da Ginevra Petrucci al flauto e dal Quartetto Kodály, storico ensemble ungherese costituito per l’occasione da Attila Falvay (violino), János Fejérvári e Mihály Várnagy (viole), György Éder (violoncello), la cui splendida interpretazione valorizza alcuni gioielli cameristici di un compositore meritevole di essere riportato quanto prima in auge.
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