Si è svolto, al Teatro Diana di Napoli, il secondo appuntamento della sezione di “Diciassette & Trenta Classica” affidata alla direzione artistica dei maestri Antonello Cannavale e Alberto Maria Ruta.
Ospite del concerto il Trio des Alpes, formato da Mirjam Tschopp (violino), Claude Hauri (violoncello) e Corrado Greco (pianoforte), chiamato nel 2011 ad inaugurare la rassegna, che in questa nuova occasione ha proposto un programma diviso in due parti nettamente distinte.
Nella prima abbiamo ascoltato il Trio in sol maggiore, op. 1 n. 2 di Ludwig van Beethoven (1770-1827), appartenente ad un trittico, dedicato al principe Lichnowsky, scritto fra il 1793 ed il 1794, che segnò l’esordio ufficiale di Beethoven come compositore.
Insieme agli altri due (n. 1 in mi bemolle maggiore e n. 3 in do minore), conobbe la “prima” proprio nel salotto del principe, davanti ad una ristretta schiera di appassionati e addetti ai lavori, fra i quali vi era anche Haydn, che rimase favorevolmente impressionato dai brani beethoveniani.
In effetti, pur risentendo ancora dell’influenza dei suoi predecessori (nel caso del Trio in sol maggiore si ritrovano molte affinità con Haydn), Beethoven aveva apportato a tale genere cameristico già alcune fondamentali modifiche, quali la presenza di quattro movimenti, lo Scherzo al posto del Minuetto nel terzo e una indipendenza più marcata degli archi rispetto al pianoforte.
La seconda parte del concerto è stata invece rivolta a due compositrici, la statunitense Amy Cheney Beach (1867-1944) con il Trio op. 150, risalente al 1938 e la britannica Rebecca Clarke (1886-1979) con il Trio per violino, violoncello e pianoforte, datato 1921.
Entrambe rappresentano sicuramente delle figure prestigiose che meriterebbero di essere maggiormente conosciute.
Dando un rapido sguardo alle loro biografie, spicca ad esempio il fatto che la Beach (nata Cheney), già a due anni aveva dimestichezza con le notazioni musicali e, quando a otto anni si trasferì a Boston con la famiglia, iniziò a studiare pianoforte, armonia, contrappunto e composizione, debuttando come solista a sedici anni nell’ambito della stagione della prestigiosa Orchestra Sinfonica di Boston.
Il suo stile, agli albori della carriera risultava più vicino a Brahms e Wagner, mentre con il trascorrere degli anni si avvicinò maggiormente alla musica contemporanea senza però rinnegare la base melodica di partenza
La Clarke, invece, ebbe una infanzia abbastanza infelice, con un padre dispotico e violento, che impose a tutti e quattro i figli lo studio della musica (a lei, primogenita, toccò il violino), in quanto desiderava avere in casa un quartetto che suonasse per lui.
Le numerose e prolungate tensioni provocarono una rottura definitiva e Rebecca, cacciata da casa, visse grazie alla sua attività artistica, suonando la viola, divenuto il suo strumento, nel Norah Clench Quartet, ensemble interamente formato da donne.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale si trovava negli USA e lì rimase fino al 1979, anno della sua morte.
Stilisticamente la Clarke, oltre ad avere come naturale punto di riferimento i suoi connazionali, appare talora vicino agli autori tedeschi come Bruch, in questo influenzata dalla cultura materna.
Dopo questa lunga ma indispensabile dissertazione, veniamo agli interpreti per sottolineare come il Trio des Alpes si sia confermato ensemble affiatato ed estremamente versatile, con l’ulteriore enorme merito di aver proposto un repertorio di rarissimo ascolto, che va sicuramente approfondito.
Pubblico numeroso e attento, che ha chiesto ed ottenuto un bis, costituito dall’Andante del Trio n. 1 in re minore, op. 49 di Mendelssohn, eseguito con grande eleganza, a chiusura di un concerto molto interessante e di alto livello.
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