Il recente appuntamento del Festival di Musica da Camera, organizzato dall’Associazione Napolinova e affidato alla direzione artistica di Alfredo de Pascale, ha avuto come protagonisti il “Das Wiegentrio”, formato da Elvira Maria Iannuzzi (soprano), Massimiliano Ghiribelli (clarinetto) e Tullio Forlenza (pianoforte).
Al centro della serata un repertorio liederistico particolare, in quanto specificamente concepito per tale organico, che attingeva alla produzione di autori noti e meno noti, partendo dal tedesco Conradin Kreutzer (1780-1849), che musicò Das Mühlrad (La ruota del mulino), lirica del connazionale Joseph von Eichendorff.
Con il successivo Der hirt auf dem felsen (Il pastore sulla roccia) D. 965 siamo passati a Franz Schubert (1797-1828), che ai lieder dedicò una discreta parte della sua produzione.
In particolare il brano proposto, commissionato dal soprano Anna Milder-Hauptmann, venne scritto dal musicista pochi mesi prima di morire, utilizzando i testi del poeta Wilhelm Müller e dello scrittore Karl August Varnhagen von Ense.
E’ stata poi la volta di Heimatlied del compositore, violinista e direttore d’orchestra boemo Johann Wenzel Kalliwoda (1801-1866), concepito partendo da un inno di autore anonimo ricco di nostalgia nei confronti della patria lontana.
L’interessante e corposo programma si è concluso con i Sei Lieder tedeschi op.103 di Louis Spohr (1784-1859), risalenti al 1837 e commissionati dalla principessa Sondershausen, come ricorda anche il compositore nella sua autobiografia.
Molto bravi i tre protagonisti, che costituiscono un ensemble molto affiatato, formato da ottimi solisti, che per l’occasione si sono avvalsi della presenza del maestro Roberto Daina, affidandogli il compito di declamare la traduzione italiana delle diverse liriche, poi eseguite in lingua originale.
Un’idea, molto apprezzabile, che però non aveva fatto i conti sulla scarsa tenuta di un pubblico, in generale poco propenso nei confronti di un genere come quello liederistico, caratterizzato spesso da testi abbastanza estranei alla nostra cultura, dove emerge una profonda angoscia esistenziale tipica del Romanticismo.
Soprattutto all’inizio della seconda parte, preceduta dalla lettura dei testi dei sei brani musicati da Spohr, si è assistito ad un progressivo assottigliamento degli spettatori.
Un vero peccato perché la proposta era di estremo interesse e meritava una maggiore attenzione, da parte di un pubblico pigro, che rifugge qualsiasi tipo di novità, in questo abituato male da decenni di programmazione e centinaia di concerti rivolti sempre agli stessi autori ed alle medesime musiche, soprattutto nell’ambito delle stagioni cosiddette “maggiori”.
Ricordiamo, infine, il bis, A Winternight su testo di William Barnes, risalente al 1989, tratto dai Tre Wintersongs dell’eclettico compositore olandese Kees Schoonenbeek (1947), con il quale il trio ha chiuso in grande stile un concerto molto particolare e raffinato.
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