Scritte probabilmente fra il 1717 ed il 1723, quando Bach era al servizio del principe di Köthen, le Sei suites per violoncello solo, catalogate come BWV 1007-1012, rappresentano una delle massime espressioni di musica composta per questo strumento.
Esse sono costituite secondo uno schema che prevede un Preludio iniziale, seguito da quattro danze, Allemanda, Corrente, Sarabanda, Giga e, tra le ultime due, l’inserimento di una coppia di danze supplementari (ad esempio, nella Suite n. 1 troviamo due Minuetti).
La Sarabanda costituisce, quindi, il cuore dell’intero brano ed ha il duplice scopo di scaricare le tensioni accumulate nei movimenti precedenti e preparare il terreno ai tre tempi conclusivi.
Le Suites sono giunte fino a noi grazie ad una copia del manoscritto originale, redatta da Anna Magdalena, seconda moglie del compositore, il che recentemente ha fornito lo spunto ad uno studioso per attribuirle a lei, ipotesi prontamente smentita da colleghi più autorevoli.
Inoltre, va ricordato che, fino alla fine dell’Ottocento, furono considerate alla stregua di studi di scarso valore e, in quanto tali, snobbati da musicologi ed interpreti.
Fu Pablo Casals (1876-1973), quando aveva appena tredici anni, a capire l’importanza di questi brani, dopo aver acquistato, quasi per caso, la partitura completa in un negozietto di Barcellona.
Il grande violoncellista le studiò assiduamente per più di un decennio, prima di proporle progressivamente al pubblico e, da quel momento, le suites iniziarono un’inarrestabile ascesa verso la notorietà.
Questa, per sommi capi, la storia di un capolavoro che è stato recentemente al centro del concerto pasquale organizzato dall’Associazione Napolinova, durante il quale tre giovani violoncellisti hanno eseguito altrettante suites di Bach nella splendida cornice della Sala Vasari, situata nella chiesa di S. Anna dei Lombardi.
Il primo ad esibirsi è stato il quattordicenne Giovanni Meriani, confrontatosi con la Suite n. 1 in sol maggiore BWV 1007, seguito dal ventiduenne Thomas Rizzo.
Quest’ultimo, oltre ad interpretare la Suite n. 2 in re minore BWV 1008, ha proposto anche il Capriccio n. 6, dai Dodici Capricci, op. 25 di Carlo Alfredo Piatti (1822-1901), bergamasco trapiantato a Londra, dove soggiornò per circa mezzo secolo, che Liszt definì “il Paganini del violoncello”.
Il recital si è chiuso con Antonio Amato, che ha eseguito la Suite n. 3 in do maggiore BWV 1009 e, come gran finale, il Capriccio n. 20 del tedesco Friedrich Grutzmaker (1832-1903), anch’egli grande e celebrato virtuoso, forse il primo a comprendere l’esatto valore delle suites bachiane, al quale nel 1898 fu affidata la parte solista nell’esordio del Don Chisciotte di Richard Strauss.
Per quanto riguarda gli interpreti, di origine salernitana, non è assolutamente il caso di fare graduatorie di preferenza, anche se, ascoltare un quattordicenne che si cimenta in modo così intenso con Bach, come Giovanni Meriani, sicuramente lascia una forte impressione.
Ma, ad ogni modo, tutti e tre i protagonisti, che provengono dalla scuola del prestigioso maestro rumeno Ilie Ionescu, meritano un enorme plauso, poiché si tratta di giovani di indiscutibile talento, che possono raggiungere mete elevatissime.
Per tale motivo auguriamo loro una carriera ricca di successi e, nel contempo, non possiamo fare a meno di ringraziare Napolinova, nella figura del suo direttore artistico Alfredo de Pascale, unica a perseguire una politica volta a dare spazio ai giovani musicisti.
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