Tutti i colori dell’orchestra

Nel 1975 il venezuelano José Antonio Abreu fondò, insieme ad alcuni amici musicisti, la Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela (FESNOJIV).
Scopo di questa istituzione, oggi nota semplicemente come “El Sistema”, era quello di affrancare, tramite la musica, i giovani e i giovanissimi appartenenti ai ceti sociali più poveri ed emarginati del Venezuela, ispirandosi anche ai principi del patriota Simón Bolívar.
A più di trent’anni di distanza tale iniziativa, adottata successivamente in altre situazioni a rischio presenti in America ed in Europa, ha raggiunto in Venezuela cifre impressionanti, che parlano del coinvolgimento di circa 250.000 persone, comprendenti musicisti di età fra i 4 ed i 20 anni, insegnanti, liutai ed esperti del settore organizzativo musicale.
Fiore all’occhiello di tutto il “Sistema” è l’ Orchestra Sinfonica del Venezuela Simón Bolívar, il cui direttore stabile è Gustavo Dudamel, che si avvale della collaborazione di maestri di provata esperienza quali Claudio Abbado e sir Simon Rattle.
La compagine ha intrapreso una tournée in Italia, toccando recentemente Napoli, dove si è esibita al Teatro di San Carlo, diretta da Diego Matheuz, nell’ambito della Stagione dell’Associazione Alessandro Scarlatti.
Il programma proposto, rivolto principalmente al repertorio francese, si è aperto con la Suite n. 2, tratta dal balletto Daphnis et Chloé, composto da Maurice Ravel (1875–1937) per i “Balletti Russi” di Diaghilev, la cui prima ebbe luogo nel 1912 al Théâtre du Châtelet di Parigi.
Il lavoro si ispirava al romanzo in quattro libri “Le avventure pastorali di Dafni e Cloe” del greco Longo Sofista, autore vissuto presumibilmente nella prima metà del III secolo, e lo spettacolo di esordio si avvaleva delle coreografie di Michel Fokine, delle decorazioni di Léon Bakst, mentre l’orchestra era diretta da Pierre Monteux, con i ballerini Vaslav Nijinsky e Tamara Karsavina nel ruolo dei due protagonisti.
La composizione venne definita da Ravel “sinfonia coreografica”, per la sontuosità che la caratterizzava, e da essa l’autore trasse due suite, la seconda delle quali, comprendente la terza ed ultima parte del balletto, si è guadagnata una discreta notorietà.
Secondo brano in programma, la suite orchestrale Santa Cruz de Pacairigua (1954) di Evencio Castellanos (1915–1984), allievo al conservatorio di Caracas di Vicente Emilio Sojo, massima gloria musicale del Venezuela.
Divisa in tre movimenti, rappresenta un omaggio a Guatire, cittadina dove Sojo era nato, e rievoca, alternando passaggi di forte modernità ad elementi popolari, la costruzione della locale chiesa, situata nei pressi del fiume Pacairigua, dove è conservato un frammento della Croce Santa.
Dopo l’intervallo, il secondo tempo è stato interamente rivolto alla Sinfonia fantastica di Berlioz (1803 – 1869).
Il brano fu scritto nel 1830, ispirato dalla travagliata storia d’amore del musicista con l’attrice anglo-irlandese Harriet Smithson, ammirata a Parigi durante una tournée della sua compagnia teatrale.
L’artista, nel recitare l’Amleto di Shakespeare, disegnò una Desdemona così appassionata da indurre Berlioz a identificare l’attrice con il personaggio interpretato.
Fu un vero e proprio colpo di fulmine, preludio ad una relazione burrascosa, terminata con il matrimonio che durò solo sette anni dopo i quali i due si separarono.
Dal punto di vista musicale, il brano si caratterizza per alcune novità, come la presenza di cinque tempi anziché quattro, un motivo conduttore che rappresenta la donna amata, e un programma vero e proprio, legato ad ogni movimento, che è alla base della concezione del poema sinfonico.
Attraverso questi tre brani, l’Orchestra Sinfonica del Venezuela Simón Bolívar ha potuto mettere in evidenza tutti i suoi infiniti colori, supportati da un’ottima sezione di archi, buoni ottoni e numerose eccellenze nell’ambito delle diverse sezioni.
Indubbiamente, soprattutto in Ravel, si è perso qualcosa a livello di sfumature, ma il pezzo di Castellanos è stato interpretato molto bene, e il raddoppio di gran parte degli ottoni, rispetto all’originale, ha contribuito a fornire una versione ancora più poderosa della Fantastica, che avrebbe sicuramente mandato in visibilio lo stesso Berlioz.
Rimane il rammarico, forse, di un mancato approfondimento di autori che appartengono alla storia della musica del continente americano, come Revueltas, Moncayo, Chavez, Villa Lobos, Williams, Ginastera, Copland e Bernstein, quest’ultimo al centro del secondo e conclusivo bis, consistente nel Mambo tratto da West Side Story, che ha visto gli orchestrali scatenarsi sul palcoscenico dopo che, sia loro, sia il direttore, avevano indossato un giubbotto con i colori venezuelani.
Probabilmente, però, pretendiamo troppo, e un programma così concepito avrebbe provocato la diserzione da parte di un pubblico che non è ancora preparato (ma quando mai lo sarà?), per cui accontentiamoci di aver potuto ascoltare una orchestra dalle sonorità fresche e potenti, principale emanazione di un“sistema”, quello di Abreu, che ha del miracoloso.

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