Mercoledì 7 settembre il Conservatorio di Benevento propone “Il Barbiere di Siviglia” al Teatro di Corte della Reggia di Caserta

Mercoledì 7 settembre, alle ore 20.30, presso il Teatro di Corte della Reggia di Caserta, andrà in scena Il Barbiere di Siviglia, opera buffa in due atti di Gioachino Rossini, su libretto di Cesare Sterbini, tratto dalla commedia omonima di Beaumarchais.
Allievi ed ex-allievi delle classi di canto del Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento, sotto la regia di Emanuele Di Muro, accompagnati dall’orchestra e dal coro del Conservatorio, diretti dal maestro concertatore Francesco Ivan Ciampa, si misureranno con l’opera forse più conosciuta del compositore pesarese.
L’allestimento prodotto dal Conservatorio di Benevento coniuga la vicenda di Figaro, ambientata nella Siviglia del XVIII secolo, con la guerra civile spagnola dei primi del novecento.
L’azione teatrale si svolge il 20 agosto del 1936, giorno dell’annuncio della morte del poeta Federico García Lorca, assassinato dalla guardia civile franchista.
Se in Rossini è vivamente ritratta la realtà sociale dell’uomo scaturita dalla rivoluzione francese, attraverso personaggi che incarnano il nuovo spirito borghese che si sostituisce al vecchio mondo aristocratico, la messa in scena sannita, in un’atmosfera dalle sfumature picassiane, cerca di approfondire il lato meno comico del Barbiere, dando ampio respiro allo stato psicologico del personaggio di Rosina.
La scelta stilistica di questo allestimento si riflette inoltre sul ritorno alla prassi tipicamente ottocentesca di sostituire l’aria della lezione (“Contro un cor che accende amore”) con altri pezzi celebri: sarà la romanza da camera Ninna Nanna di Siviglia del poeta García Lorca che Rosina canterà nel secondo atto.
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Il Barbiere di Siviglia
Melodramma buffo in due atti di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Stermini (dalla commedia omonima di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais)

Personaggi ed interpreti

Il Conte d’Almaviva: Gianluca Bocchino
Bartolo, dottore in medicina: Luciano Matarazzo
Rosina, pupilla di Bartolo: Angela Giovio
Figaro, barbiere: Raffaele Raffio
Basilio, maestro di musica: Davide Giangregorio
Fiorello/Un Ufficiale: Anton Gryvniak
Berta, cameriera di Bartolo: Mina Troiano

Orchestra e Coro del Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento
Cembalo: Carla D’Onofrio
Maestro concertatore e direttore d’orchestra: Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro: Adriana Accardo;
Regia: Emanuele Di Muro
Scene: Brunella De Laurentis
Realizzazione: Alessandro Calabrese
Costumi: Sartoria Angelina De Rita
Luci: M.A.C. Service di Francesco Giordano e Alessandro Caso
Collaboratori al pianoforte: Rossella Vendemia, Tommaso Lepore, Carla D’Onofrio
Assistente alla regia: Maya Martini
Chitarrista in scena: Lorenzo Marino
Sound design: Massimo Varchione

Note di regia a cura di Emanuele Di Muro

Il Laboratorio Lirico-Orchestrale del Conservatorio Nicola Sala, iniziato nel 2009 con Prima la musica e poi le parole di Antonio Salieri e proseguito lo scorso anno con L’italiana in Londra di Domenico Cimarosa, ha scelto quest’anno di far cimentare i propri studenti con un’opera del grande repertorio: Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini.
Questo allestimento cercherà di coniugare lo spirito rossiniano con l’esperienza della Guerra Civile Spagnola.
Lo svolgimento della vicenda si immagina avvenga il 20 agosto 1936, giorno in cui Radio Siviglia annuncia la morte del poeta e drammaturgo Federico García Lorca, assassinato dalla ferocia falangista.
Nell’annuncio ci si preoccupò di celare la verità, affermando che la morte di Garcìa Lorca avvenne in conseguenza di “ferite prodotte per azione di guerra”. Nel nostro Barbiere la vicenda di Figaro-Rosina-Almaviva convive con la Guerra Civil e con la tragica, simbolica soppressione di un artista.
Credo che il Finaletto dell’opera, “Amore e Fede eterna”, acquisti così un respiro ancora più universale.
Ciò assunto, a costo di alterare di poco la scansione temporale degli eventi, è venuto consequenziale inserire nella scenografia un frammento di Guernica, quello che ci è sembrato il più drammaticamente evocativo: il cavallo agonizzante, simbolo della violenza cieca e brutale della guerra.
Infine, come omaggio a García Lorca, si è pensato di sostituire l’aria di Rosina
del II atto, detta “della lezione”, con una romanza da camera dello stesso García Lorca: Nana de Sevilla (Ninna nanna di Siviglia).
Tale licenza – avallata da un’antica prassi delle interpreti rossiniane che, in questo punto, erano solite
eseguire arie di bravura del proprio repertorio – è qui ripresa e coerentemente contestualizzata nel quadro dell’allestimento.
Approfittando dello sfondo tragico in cui è stata calata la vicenda rossinianana, abbiamo cercato di far emergere gli aspetti psicologicamente più drammatici e tormentati di un’opera solo apparentemente leggera. Lo spirito rossiniano è stato a volte travisato e ridotto a un discutibile umorismo da “torte in faccia”.
La vittima più ovvia di questo malvezzo è Bartolo, sovente rappresentato come un vecchio rimminchionito, gottoso, decrepito, ciangottante, bersaglio di assurdi scherzi e dileggi da parte degli altri personaggi.
Nulla di più lontano dalle intenzioni di Sterbini/Rossini.
Bartolo è un uomo maturo e sicuro di sé, non esattamente un’aquila d’ingegno, ma nemmeno un tonto alle spalle del quale sbellicarsi.
È un uomo crudele e persecutorio e in questa lettura diventa un esponente della borghesia sostenitrice del regime militare falangista.
Accanto a lui guizza il prete Basilio, consigliere fraudolento, un Tartufo pronto per trenta denari a cambiare schieramento e modalità di azione.
La celebre Calunnia non lascia spazio a equivoci: Rossini, sul modello di Beaumarchais e di Paisiello, crea un grandioso, universale manifesto dell’ipocrisia e della maldicenza.
Su Rosina ho soffermato un’attenzione particolare: lungi dai manierati atteggiamenti di certe letture che dirottano sbrigativamente questo personaggio verso una sorta di Serpina ottocentesca, ho voluto restituire una creatura veramente e letteralmente “oppressa e maltrattata”.
Rosina, nel libretto sterbiniano, insiste spesso sul suo malessere, dichiarando di morire dalla noia e che la sua è “una vita da crepare”.
E in Beaumarchais subisce un chiaro maltrattamento dal suo persecutore:
Rosina (A Bartolo) “Finitela, dunque, signore: mi torcete il braccio”. (P.A. de Beaumarchais Il barbiere di Siviglia, Atto II, traduz. Andrea Calzolari)
Credo che Rosina non aspetti altro che l’occasione giusta per fuggire dall’inferno domestico che le ha confezionato Bartolo e quindi si getta nelle braccia del primo venuto che le dimostra attenzioni amorose. Lindoro/Almaviva le dà ad intendere di non essere ricco, ma è giovane, bello, intraprendente, focoso.
E Rosina, pur seguendo il suo copione di ragazza beneducata (per esempio nella ritrosìa iniziale nel mostrarsi al balcone), non si crea troppi interrogativi sulle di lui intenzioni.
Ignora che Almaviva, credendola moglie di Bartolo (circostanza cancellata a suo tempo dalla censura pontificia), sta di fatto cercando solo un’avventura galante.
La vicenda, tra equivoci, travestimenti, lettere, biglietti, denari, scambi di persona, prende tuttavia una piega inaspettata e Almaviva finirà per innamorarsi davvero di Rosina fino a chiederle di sposarlo.
Per Rosina la ruota ha girato finalmente nel verso giusto e si troverà a essere moglie addirittura di un Grande di Spagna.
La scappatella progettata da Almaviva si trasforma in Amore e Fede eterna.
Artefice di tutto questo un barbiere: Figaro.
Non un barbiere qualunque. Rossini scaraventa sul pubblico il travolgente ritratto di un autentico self-made-man, esponente di una borghesia ormai autoreferenziale, danarosa, avida, arrogante, pronta ad accedere alle soglie inaccessibili del potere.
Siamo a una distanza siderale dal servile Figaro paisielliano, astuto ma non intelligente, intraprendente se e quanto il guinzaglio del padrone gli concede spazio.

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